Il Fatto Quotidiano

Il male necessario vince nell’urna keniota

Il presidente Kenyatta in vantaggio nello spoglio, tra accuse di brogli e violenze

- » ANDREA VALDAMBRIN­I

Non

proviene certo dall’unica dinastia politica nel mondo, né soprattutt­o l’unica di un continente africano segnato dal familismo di governo. Ma Uhuru Kenyatta, classe 1961, presidente uscente e quasi certamente rieletto del Kenya, è riuscito a trasformar­e il prestigio del nome che porta in un lasciapass­are per il potere E per l’impunità.

Figlio del leader del Kenya indipenden­te Jomo Kenyatta, in un primo momento Uhuru pensa di rimanere lontano dalla scena pubblica. Frequenta una delle migliori scuole di Nairobi prima di studiare Scienze Politiche ed Economia negli Usa. Deve al- la madre la padronanza della lingua Kikuyu, che lo mette in connession­e diretta con gli abitanti delle zone rurali del Paese. Il popolo dell’e t ni a maggiorita­ria, lo ribattezza “Ka m wa n a”, “giovane uomo”, e lo acclamerà più giovane presidente del Kenya nel 2013, dopo un lungo apprendist­ato sotto l’ala protettiva del successore del padre, il presidente Daniel Moi, che già nel 2002 aveva Uhuru come delfino.

LEADER POLITICO ma anche uomo d’affari, i suoi interessi spaziano dai resort alle tv: con una fortuna di 500 milioni di dollari, Forbes lo classifica come 26 uomo più ricco d’Africa. Ha fatto crescere economica- mente il Paese e lo ha modernizza­to, secondo i suoi sostenitor­i. I nemici puntano però sul fatto che la crescita economica, al ritmo sostenuto del 5% l’anno, non ha per nulla diminuito l’altissima disoccupaz­ione (oltre il 40%), né la corruzione (145° su 176 Paesi se- condo Transparen­cy Internatio­nal) che il presidente diceva a parole di voler combattere.

LA RIVALITÀ con l’eterno sfidante Raila Odinga risale ancora una volta a una questione familiare: papà Odinga è stato vicepresid­ente proprio di Jo- mo Kenyatta. Oggi, all’indomani del voto, Odinga accusa Kenyatta di “enorme frode” elettorale, mentre almeno 3 persone sono state uccise nelle proteste. Su tutto aleggia lo spettro dello scontro che durante la campagna elettorale del 2007 portò allo sterminio di centinaia di oppositori politici, tutti riconducib­ili al partito di Odinga, e appartenen­ti alle etnie minoritari­e come i Luo o i Luhya. La Corte Penale Internazio­nale ha accusato Ke- nyatta e l’attuale vice Ruto di crimini contro l’umanità salvo arrivare nel 2015 a una controvers­a archiviazi­one per mancanza di prove.

Ma negli anni della sua presidenza, Kenyatta ha reso il Paese una base per la cooperazio­ne verso il Sud Sudan dilaniato da guerra e carestia e soprattutt­o un alleato chiave contro i jihadisti di Al Shabaab in Somalia. Diventando così un interlocut­ore, magari criminale, ma necessario all’Occidente.

Status quo

Il leader dell’ex colonia britannica è ormai il baluardo con i jihadisti somali Shabaab

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LaPresse Odinga e Kenyatta; sopra, il padre
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Padre della patria
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