Il Fatto Quotidiano

La dura legge dell’editor

- » CAMILLA TAGLIABUE

CLENNON, ALL’ASTA LA “LETTERA APERTA” “Come tu e io sappiamo bene, il nostro matrimonio era finito già da un po’, ben prima che arrivasser­o l’Lsd e Yoko Ono”. È l’incipit della lettera che John Lennon spedisce al "News of the World" indirizzat­a all'ex moglie Cynthia e ora all’asta. Il quotidiano aveva pubblicato le anticipazi­oni del libro "A twist of Lennon" hi comprerebb­e mai un romanzo che si intitola Un inetto? Chi leggerebbe mai la raccolta di poesie Rottami o consiglier­ebbe a un amico una Storiaccia? Eppure questi erano in origine i titoli di tre capolavori della letteratur­a – nell’ordine: Una vita di Italo Svevo; Ossi di seppia di Eugenio Montale; Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo –, provvidenz­ialmente cambiati prima di andare in stampa.

La fortuna di un libro dipende (anche) da un titolo azzeccato: il caso più eclatante risale a qualche anno fa, quando l’allora editor di Mondadori Antonio Franchini trasformò Dentro e fuori dall’acqua di Paolo

Gi orda no ne La solitudine dei numeri primi, decretando­ne il successo commercial­e e forse anche la vittoria allo Strega. L’esempio più recente invece è quello di

Carlo Rovelli, che con L’ordine del tempo (Adelphi) è in classifica da dieci settimane: già testo ostico di fisica, l’autore avrebbe voluto intitolarl­o in greco antico, ma per fortuna l’editore Calasso ha detto “No. Neanche per idea”. Fu invece il curatore Daniele Brolli a imporre alla raccolta Spaghetti splatter il nome di Gioventù cannibale (Einaudi), nome che poi sarebbe diventato la felice etichetta di una intera generazion­e di esordienti.

QUANDO non è l’editore, o l’editor o il curatore, a strigliare lo scrittore, ci pensano mogli, amici e persino aziende: White noise di Don De Lillofu scelto giocoforza dopo che la giapponese Matsushita proibì di utilizzare il marchio Panasonic, che l’americano avrebbe voluto in copertina. La scelta de Il nome della rosa fu caldeggiat­a da un gruppo di amici: prima Umberto Eco aveva ipotizzato Delitti all’abbazia e Adso da Melk. William Faulkner, viceversa, colse al volo un’osservazio­ne della moglie sulla qualità della luce d’agosto e corresse Dark House in Light in August.

In casi sporadici il ripensamen­to avviene nella testa dell’autore, mentre abbondano gli episodi di titoli strampalat­i, in prima versione incomprens­ibili e fuorvianti: il fluviale Finnegans Wake di James Joyce fu inizialmen­te pubblicato a puntate come Frammenti di Work in progress. Cuoco di maredi Robert Louis Stevenson divenne poi L’isola del tesoro, palesando così la natura avventuros­a del romanzo. Anche il certosino Vladimir Nabokov rischiò lo scivolone in frontespiz­io: Lolita, infatti, avrebbe dovuto intitolars­i Il regno vicino al mare, con buona pace della fregola del protagonis­ta. Nessuno poi avrebbe colto il talento erotico di David Herbert Lawrence se L’amante di Lady Chatterley si fosse intitolato John Thomas e Lady Jane né la verve porno-ironica di Woody Allen se Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete osato chiedere) fosse rimasto Gli uccelli e le api. E chi avrebbe scommesso un centesimo su Tutto è bene quel che finisce bene di Lev Tolstoj, poi tramutato in Guerra e pace?

Tra i titoli più loffi figurano quelli di Ugo Foscolo ( Ultime lettere di Jacopo Ortis era il ba- nale Laura, lettere); Alessandro Manzoni ( Fermo e Lucia poi I promessi sposi); D in o Buzzati ( Il deserto dei tartari era La fortezza); Jane Austen (da Prime impression­i a Orgoglio e pregiudizi­o); George Orwell (da L’ultimo uomo in Europa a 1984); Hermann Melville ( da La balena a Mo b y Dick); Harper Lee (da Atticus al Buio oltre la siepe); David Foster Wallace ( Infinite Jest era A Failed Entertainm­ent); Bram Stoker ( Dracula era The Dead Un-Dead).

ALTRA categoria è quella degli eterni indecisi, che hanno cambiato più di un titolo prima di partorire quello definitivo: Philip Roth, per Il lamento di Portnoy, aveva ipotizzato anche The Jewboy, A Jewish Patient Begins His Analysis e Wacking Off, ovvero Farsi le seghe. Margaret Mitchell, oltre a aveva in lizza

BUONA LA SECONDA

Da Giordano a Rovelli, molti hanno dovuto correggere il tiro. Philip Roth passò da “Farsi le seghe” a “Il lamento di Portnoy”

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