Il Fatto Quotidiano

Alla Open di Renzi 2 milioni di donazioni (inutili) per il Sì

La Fondazione nel 2016 quadruplic­a il suo bilancio: ora è in rosso di 165 mila euro

- » STEFANO FELTRI E CARLO TECCE © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Altruismo di Mr Moby Ben 150 mila euro dal patron della società di navigazion­e che piace al Giglio magico

Zero trasparenz­a

Le famiglie toscane, l’argentino Eurnekian e gli altri: ma la metà dei soldi è senza nome

Per vincere il referendum Matteo Renzi aveva avviato una raccolta fondi senza precedenti: la sua fondazione Open nel 2016 ha quadruplic­ato il bilancio, i contributi incassati sono passati da 487.635 a 1,9 milioni di euro, più dell’intero Pd che di donazioni ha raccolto soltanto un milione e mezzo. Sono i conti dello scorso anno che la fondazione Open guidata dall’avvocato Alberto Bianchi ( che grazie al governo Renzi siede, tra l’altro, nel cda Enel) ha approvato poche settimana fa e che il Fatto ha esaminato.

Per la partita decisiva – poi persa – Renzi aveva scatenato i suoi fu ndrai ser. E alla chiamata molti grandi finanziato­ri hanno risposto: 48 “persone giuridiche”, cioè aziende e associazio­ni, hanno versato un milione di euro e 63 persone fisiche 909 mila euro. Poi ci sono 5.800 euro arrivati tramite Pay Pal, contributi classifica­ti come “non identifica­bili”. Ma i donatori che accettano di essere identifica­bili sono pochi. E oltre la metà delle risorse raccolte da Open nel 2016 arriva da finanziato­ri che vogliono restare anonimi. Per non essere collegati a Renzi, si suppone.

LA PARTE della lista conosciuta comprende, tra gli altri, l’armatore Vincenzo Onorato, che versa 50.000 euro a titolo personale e 100.000 euro con la sua Moby. Non solo un atto di generosità: Onorato, negli ultimi due anni, ha lanciato un’offensiva di lobby per imporre sulle navi battenti bandiera italiana solo marittimi italiani (una mossa contro i concorrent­i di Grimaldi). La battaglia ha trovato una sponda molto collaborat­iva tra i deputati renziani.

Facile da intuire anche la contropart­ita per il Gruppo Getra che versa ben 150.000 euro in due tranche: l’11 giugno 2016, Renzi è andato a visitare gli stabilimen­ti d e ll ’ az i en d a pr o d u tt ri c e di trasformat­ori elettrici ( 100 milioni di fatturato) a Ma r c i an is e . E il presidente Marco Zigon ha dichiarato che “l’ampliament­o degli stabilimen­ti è stato reso possibile dalla virtuosa collaboraz­ione tra azienda, istituzion­i e Invitalia”. Non manca la Alicros , l’azienda del Campari, che sostiene Renzi con 30.000 euro come altri anni.

Pagano il loro obolo anche i poteri forti (o quasi) toscani. I fratelli Fratini con Renzi a Firenze hanno buoni rappor- ti da sempre, nel 2013 hanno perfino venduto palazzo della Gherardesc­a per 150 milioni di euro all’emiro Al-Thani del Qatar, padre di quello che sarebbe poi diventato assiduo interlocut­ore dell’ex premier. Dalla loro Fingen arrivano 100.000 euro. Poi c’è la Karat dei fratelli Bassilichi che ci mette 50.000 euro, e la Corporacio­n America Italia dell’argentino Eduardo Eurnekian che, forte del suo investimen­to in Toscana Aeroporti, contribuis­ce alla causa con altri 50.000 euro.

La Big Spaces srl partecipa con 30.000 euro: è una società di Andrea Baccuini che si occupa di eventi ma anche e soprattutt­o di locali in montagna, a Co u r m ayeur, dove Renzi ha trascorso il capodanno 2015. Ci sono versamenti più misteriosi, come quello da 75.000 euro che arriva dalla “A sso cia zio ne culturale Azimut”. Esiste a Torino un ente con quel nome che promuove giovani artisti emergenti ma, contattato dal Fa tt o, non ha risposto.

Sono soltanto due le persone fisiche che scelgono di apparire con nome e cognome, a parte l’armatore Onorato: Dario Parrini, deputato del Pd e segretario del partito in Toscana, che versa giusto una cifra simbolica, 1.050 euro, e Ernesto Carbone, altro onorevole dem che per Renzi tiene i rapporti con molte lobby importanti (lui è più generoso e paga 7.200 euro).

La fondazione Open ha speso questi denari per le attività tipiche di un partito politico, perché Open non ha altra missione che sostenere le iniziative politiche di Renzi, dentro il Pd ma non solo. Nel 2016 Open ha speso ben 126.176 euro per servizi fotografic­i e ricerche video, poi 243.487 per l’organizzaz­ione di eventi, 503.162 euro per “consulenze tecniche di comunicazi­one, sondaggi, servizi e social network”, il grosso però è andato per le “campagne promoziona­li”, ben 872.580 euro. Per le spese telefonich­e se ne sono andati 37.768 euro, altri 48.878 per affittare sale, parchi e teatri, 60.000 per le licenze per i software.

Fino al 2015 la fondazione Open non aveva dipendenti. Nel 2016 invece stipula 26 contratti a progetto – una delle forme di precariato che il Job Act renziano aveva promesso di abolire – per la fase più calda della campagna referendar­ia: dal 20 ottobre al 10 dicembre 2016. Spesa complessiv­a per il personale: 52.859 euro. Che significa 2000 euro di media a testa, nell’ipotesi che questi siano stati gli unici collaborat­ori che Open ha pagato nel 2016 (i vertici della fondazione non prendono gettoni per esercitare le proprie cariche).

ALLA FINE dello scorso anno, dopo la sconfitta referendar­ia, le casse della fondazione Open sono quasi vuote: il bilancio si chiude con una perdita di 165.967 euro e sui conti correnti sono rimasti soltanto 76.511 euro dei 373.396 che c’erano a gennaio.

Ripetere gli stessi successi di raccolta tra i finanziato­ri che dal 2012 appoggiano Renzi sarà ora molto più difficile, visto che la prospettiv­a del ritorno a Palazzo Chigi dei renziani è assai più remota di quanto poteva sembrare possibile un anno fa la vittoria del “Sì” nel referendum.

 ?? LaPresse ?? Battaglia persa Nonostante il fiume di donazioni, Matteo Renzi ha perso malamente il referendum
LaPresse Battaglia persa Nonostante il fiume di donazioni, Matteo Renzi ha perso malamente il referendum

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy