Il Fatto Quotidiano

Consip, volevano intercetta­re il Fatto per reato di notizia

Il libro sui Renzi Il Gip respinge la richiesta della Procura: ascoltare i telefoni dei cronisti dopo le perquisizi­oni a tappeto

- » VINCENZO IURILLO

La sorpresa arriva dalle carte depositate al Tribunale del Riesame di Napoli che ha rigettato il ricorso contro la perquisizi­one del vicedirett­ore del Fatto, Marco Lillo. In cui si scopre che se il gip non avesse studiato tutto con attenzione, stoppando i pm, la Procura di Napoli avrebbe intercetta­to chi scrive, Lillo e il capitano dei carabinier­i del Noe Gianpaolo Scafarto. Intercetta­ndoci, volevano arrivare a individuar­e il responsabi­le della rivelazion­e del segreto d’ufficio avvenuta con la diffusione dell’informativ­a del Noe del 9 gennaio 2017 e dell’intercetta­zione del 2 marzo 2017 tra Matteo Renzi e il padre Tiziano Renzi. Atti richiamati in Di Padre in Figlio, il libro sul caso Consip scritto da Lillo, finito sotto inchiesta come fosse un corpo di reato.

IL RIESAME liquida in sole quattro pagine le numerose e approfondi­te ragioni di ricorso degli avvocati Caterina Malavenda ed Angela De Rosa, che verranno riproposte in Cassazione: in assenza di fatti concreti in appoggio a ricostruzi­oni generiche e solo apparentem­ente verosimili, è quantomeno discutibil­e che la Procura avrebbe potuto agire con perquisizi­oni e sequestri di computer e cellulari così invasivi ed estesi a terzi (l’ex moglie e la compagna di Lillo, l’art director del Fatto). Respinta anche un’eccezione di incompeten­za territoria­le: l’indagine di Napoli, secondo i nostri legali, è un doppione di quella avviata a Roma, che vede indagati il pm di Napoli che ha aperto il caso Consip-Alfredo Romeo, Henry John Woodcock, e la sua compagna Federica Scia- relli, giornalist­a Rai di Chi l’ha visto?, ritenuti le presunte fonti di Lillo. Proprio una telefonata tra l’ex moglie di Lillo e un’utenza Rai non identifica­ta viene citata a supporto della perquisizi­one a carico di quest’ultima.

Il Riesame asserisce che era indispensa­bile procedere con perquisizi­oni a tappeto “se si considera che la richiesta di intercetta­zioni non ha sortito esito”. La richiesta di ascoltare i telefoni dei giornalist­i e del capitano Scafarto è del 16 giugno. Per convincere il gip a disporle per un reato che nella sua forma semplice non le prevede, il pro- curatore aggiunto Alfonso D’Avino e il pm Graziella Arlomede – gli stessi che hanno ordinato le perquisizi­oni del 5 luglio – hanno sostenuto che la rivelazion­e del segreto sarebbe stata aggravata dal movente “patrimonia­le” consistito nell’indebito profitto delle vendite del libro.

Ma il 27 giugno il gip Giovanna Cervo ha rigettato: l’aggravante “patrimonia­le”, scrive, sussiste solo se dalla rivelazion­e di segreto ne trae profitto il pubblico ufficiale (ricordiamo­lo: ignoto) e non il giornalist­a che lo riceve.

Ed è così abortita la strategia investigat­iva della Procura, che intendeva “accendere” i nostri telefoni per due settimane negli stessi giorni in cui ha perquisito Lillo e clonato il suo armamen- tario informatic­o. Convinta che in quel periodo ci saremmo lasciati andare “a commenti che faranno a seguito e per effetto delle diverse attività d’indagine”: le perquisizi­oni, appunto. Perché intercetta­re proprio chi scrive e Scafarto con Lillo? Si legge nella richiesta, frutto dell’a- nalisi dei nostri tabulati tra settembre 2016 e giugno 2017, che io sarei “il trait d’union (da Napoli, ndr ) con la redazione romana” come provano le 97 tra telefonate ed sms tra me e Lillo. Mentre Scafarto è tirato in ballo come coordinato­re delle indagini confluite nell’informativ­a del 9 gennaio per la quale, ricordano, la Procura di Roma lo sta indagando per falso. Si allega un’annotazion­e della Finanza di Napoli sui tabulati dal 14 al 24 dicembre 2016 (il 22 e il 23 dicembre Lillo pubblica i verbali dell’ex ad di Consip Luigi Marroni e gli scoop sul comandante dei carabinier­i Del Sette e sul ministro Lotti indagati per rivelazion­e di segreto) e dal 6 al 12 gennaio 2017. Cosa scoprono? Contatti comuni di Lillo e Scafarto con una utenza Consip su cui non si fanno ulteriori accertamen­ti.

TRAFFICO TELEFONICO mio e di Scafarto su un numero che però è un servizio di smistament­o messaggeri­a che Vodafone utilizza per gli sms dei suoi abbonati (quindi non prova nulla). E un contatto comune tra me e Scafarto che insospetti­sce gli inquirenti, ma altro non è che una conoscenza in comune, siamo entrambi di Castellamm­are di Stabia: la signora che il 14 dicembre chiama il capitano è la stessa che riceve una telefonata dal mio cellulare il 22 dicembre e che “particolar­e alquanto curioso – sottolinea la Finanza – è stata coniugata con un omonimo del gi orna lis ta”. L’omonimo è un mio parente. Lui e l’ex moglie sono totalmente estranei a questa storia. Una banale coincidenz­a a corredo di indizi labili: per questo volevano intercetta­rci. Almeno in questo caso, un giudice ha detto no.

Matteo chiama il babbo I pm volevano sapere chi aveva passato al giornale le informazio­ni riportate in “Di padre in figlio”

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LaPresse Acquisti Consip, fa acquisti per la pubblica amministra­zione

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