LA SINCERITÀ BUGIARDA DI RENZI
Il pregiudizio più grave del quale devono fare ammenda gli antipatizzanti di Renzi che hanno modo di leggere il suo Avanti riguarda la sua presunta insincerità. Perché stando al libro, se bugiardo è chi mente sapendo di mentire, chi non dice quello che pensa o non pensa quello che dice, Renzi non è affatto il bugiardo che è accusato di essere. Certo, il modo di guardare la realtà da parte dell’io ( o dell’Ego) narrante ricorda quella che nel linguaggio cinematografico si chiama inquadratura soggettiva, e il risultato è una specie di Rashomoncon un solo personaggio. Ma un personaggio che non deforma scientemente i fatti che racconta: al contrario, li racconta proprio per come li vede.
LUI STESSO non deve essere diverso da come appare nel libro, con un mix di training autogeno, Wel tansc hauung del fu HH1(come noi non c’è nessuno, siamo gli unici al mondo) e linea strategica del fu HH2
( m ov im ie nt o, mo vimiento) come filosofia politica: un motivatore che non mobiliterebbe nessuno se non fosse il primo a credere alla verità delle cose che vuol far credere. Quando dice “Se immagino l’Italia dei prossimi vent’anni la vedo in testa alle classifiche sul benessere e sulla qualità della vita, sulla salute e sulla cultura”, dando per scon- tato che il sol dell’avvenire non vedrà nessuna cosa al mondo maggior di Roma, chi gli darebbe credito, se non fosse lui il primo a credere a se stesso (oltre che in se stesso)? Un imbonitore? Forse, ma in buona fede. In buona fede quando sciorina le cose mirabolanti realizzate in mille giorni di governo. In buona fede quando dice che gli appartenenti a quello che chiama anche lui il giglio magico non sono stati scelti perché suoi amici e coetanei di Firenze, Arezzo e dintorni, ma perché rappresentano il meglio che c’è sulla piazza (del resto, Firenze, Arezzo e dintorni non hanno dato al mondo in poco più di una generazione, prima Giotto, Dante, Petrarca e Boccaccio, e poi Machiavelli, Leonardo, Michelangelo e Piero della Francesca?). In buona fede quando millanta di a- ver realizzato una rivoluzione all’insegna del principio “Meritocrazia avant toute chose”.
E come abbia fatto a rottamare gli abusi partitocratici inaugurando l’era della meritocrazia, ce lo dice chiaro e tondo: scegliendo personalmente (testuale) i massimi dirigenti, nell’ordine, di Eni, Enel, Ferrovie, Cassa depositi e prestiti, Poste, Terna, Inps e via di seguito, previo colloquio attitudinale condotto da lui stesso.
Altro che gran bugiardo: un candore disarmante! Confermato dal fatto che non fa nulla per celare quello che pensa, e cioè di non avere rivali anche come cacciatore di teste. Eppure, incredibile a dirsi (e lui difatti non ci tiene a dirlo), anche Renzi qualche errore lo ha commesso: per esempio nella designazione del direttore generale della Rai o dell’amministrazione delegato della Consip. Ma il principio meritocratico non ne è risultato scalfito: non appena i due manager nominati per sbaglio hanno dimostrato di non meritare la fiducia riposta in loro (da Renzi), sono stati fatti fuori senza pietà, ma anche senza favoritismi.
Per tornare alla sincerità che caratterizza il libro di Renzi, se ne ha una prova significativa quando viene affrontata la questione dei migranti. Dopo essersi “riposizionato” in merito ispirandosi all’esempio di Marx ( inteso però come Groucho: “Questi sono i miei principi, signore. E se non le vanno bene… beh, posso sempre cambiarli con altri”), Renzi, che pure non perde occasione per dir male dei governi precedenti, si limita a imputare loro di aver sottoscritto gli accordi di Dublino 2003 e Dublino 2011. Non li accusa invece di aver accettato anche il piano Triton (foriero per l’Italia di conseguenze ben più gravi) come, pur sapendo che a sottoscrivere il piano Triton fu nel 2014 proprio il governo da lui presieduto, avrebbe anche potuto fare se fosse lo spudorato bugiardo descritto dai suoi critici.
QUALCUNO troverà sorprendente che nonostante la memoria da elefante dimostrata nel ricordare tutte le cose fatte dal suo governo (e forse qualcuna in più), Renzi non menzioni questo piano Triton, rinunciando a rivendicare, tra i tanti meriti, quello di aver ottenuto per l’Italia il comando delle operazioni in esso previste, con la modica contropartita di obbligarsi a far sbarcare in porti italiani e mettere al sicuro “tutte le persone intercettate nell’intera area operativa” (allegato 3 del piano). Ma anche quella degli elefanti non può non essere una memoria selettiva. Ora però sarebbe il colmo se gli avversari di Renzi, pur di infangarlo, tirassero fuori la solenne “frase celebre” di Unamuno: “A volte tacere equivale a mentire”. Ma guarda tu se uno deve essere accusato di dire bugie anche quando non dice niente!