Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Quando Renzi mena scandalo perché il padre, non indagato a Napoli, era intercetta­to, dovrebbe sapere che è un fatto legittimo ed è accaduto ( con perquisizi­oni e sequestri) anche ai nostri Lillo e Corsi. Con la differenza che Lillo e Corsi sono giornalist­i, dunque titolari del segreto profession­ale. Purtroppo, al momento delle perquisizi­oni, Lillo non era a Roma e la Finanza non ha voluto attendere che rientrasse per poter esibire i materiali richiesti e opporre il segreto sulla fonte, ma ha preferito procedere ai sequestri 'ndo cojo cojo.

2. La Corte europea dei diritti dell’uomo e dunque la Cassazione hanno stabilito che non si possono cercare le fonti segrete dei giornalist­i intercetta­ndoli, perquisend­oli o sequestran­do loro telefonini, computer e agende, salvo violare l’art. 10 della Cedu. Purtroppo è proprio ciò che ha fatto la Procura di Napoli. Che, non potendo dichiarare il suo vero obiettivo – identifica­re la fonte di Lillo – ha preso a pretesto la denuncia per diffamazio­ne e violazione di segreto sporta contro il Fatto da Romeo, all’epoca detenuto a Napoli per associazio­ne a delinquere e corruzione. Cioè: i pm di Napoli fanno arrestare Romeo accusandol­o di essere un ladro, poi prendono per buona una sua denuncia contro chi l’avrebbe diffamato pubblicand­o i loro atti di indagine, segreti e non. Ma come può la stessa Procura scrivere in un atto che Romeo è un ladro e in un altro che il Fatto l’ha diffamato citando il primo atto? Se l’atto è autentico, non può essere diffamator­io (altrimenti la colpa sarebbe della Procura che l’ha scritto); se l’atto è falso, può essere diffamator­io, ma allora non sta in piedi la rivelazion­e di segreto (che segreto viola chi pubblica un atto falso?).

3. Gli atti “segreti” pubblicati da Lillo in Di padre in figliosu cui indagano i pm di Napoli sarebbero tre: le due informativ­e del Noe su Consip, datate 9 gennaio e 3 febbraio; e una telefonata intercetta­ta il 2 marzo tra Matteo e Tiziano Renzi. Peccato che il 18 maggio, quando il libro uscì, nessuno dei tre atti fosse più segreto. Le due informativ­e erano state depositate alle parti l’8 e il 9 marzo dalla Procura di Roma e già pubblicate da vari giornali (curiosamen­te mai indagati né perquisiti) all’inizio di marzo (anche prima del Fatto, comunque due mesi e mezzo prima del libro). E la telefonata era uscita sul Fattoil 16 maggio: due giorni dopo, quando uscì il libro, non era più segreta neanch’essa. Ergo l’indagine, le perquisizi­oni e i sequestri si basano su un reato che non c’è. Forse i pm indagano anche sui segreti rivelati dal Fatto? No: il decreto di perquisizi­one parla solo del libro e sulle fughe di notizie sul Fatto già investiga la Procura di Roma (in coordiname­nto con Napoli), che ha iscritto – secondo noi, prendendo un granchio – il pm Henry John Woodcock e la sua amica Federica Sciarelli.

4. La Procura di Napoli non può condurre indagini sospettand­o che vi sia coinvolto un suo pm: per legge, di questi casi deve occuparsi un’altra Procura (che infatti, per Napoli, è Roma). Si dirà: Napoli non sospetta di Woodcock. Magari! I pm D’Avino e Arlomede ordinano alla Gdf di sequestrar­e il cellulare dell’ex moglie di Lillo per- ché dai tabulati risulta in contatto con un’utenza Rai che potrebbe essere in uso alla Sciarelli (in realtà è di una funzionari­a Rai, amica di famiglia). E qui, siccome la Sciarelli entra nell’inchiesta solo perché legata a Woodcock, casca l’asino: non solo i pm romani, ma pure i napoletani dimostrano di sospettare del collega ( sequestran­do un cellulare sol perché si è messo in contatto con qualcuno della Rai) e indagano indirettam­ente su di lui.

5. Non contenta di quel che ha fatto, la Procura di Napoli voleva fare di peggio: aveva chiesto al gip Giovanna Cervo di intercetta­re Lillo, il nostro corrispond­ente da Napoli Vincenzo Iurillo e il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto. Siccome però la rivelazion­e di segreto non prevede intercetta­zioni, i pm avevano tentato di gonfiare il reato con l’aggravante del movente “p atrimonial­e” ( l’i n t eresse di vendere il libro). Il gip però aveva risposto picche: per l’aggravante patrimonia­le, il profitto dovrebbe ricavarlo il pubblico ufficiale (ignoto) che passa la notizia, non il giornalist­a che la riceve. Ma che c’entrano Iurillo e Scafarto? Dai loro tabulati i pm hanno scoperto molti contatti fra Iurillo e Lillo e ne hanno astutament­e dedotto che il corrispond­ente da Napoli sia nientemeno che “il trait d’union con la redazione romana”. Invece Scafarto ha coordinato le informativ­e del Noe. E una donna di Castellamm­are di Stabia chiama Scafarto il 14 dicembre e viene chiamata da Iurillo il 22 dicembre. Senza contare un “particolar­e alquanto curioso” subito notato dai nostri occhi di lince: la signora “è stata coniugata fino al 2008 con un omonimo del giornalist­a”. Un altro Vincenzo Iurillo, cugino del nostro cronista, estraneo a tutto, ma ex marito di una conoscente di Scafarto (che il nostro Iurillo non ha mai visto né sentito prima che fosse indagato).

6. Siccome nulla sfugge agli inquirenti partenopei, a Lillo viene contestata anche un’altra fuga di notizie nel famigerato libro: i verbali di testimonia­nza (segretissi­mi) di alcuni politici interessat­i a vario titolo al caso Consip: Abrignani, Guerra e Lanzillott­a. Woodcock viene torchiato per sapere come abbiano fatto i suoi verbali a finire nel libro. E cade dalle nuvole, non avendo mai interrogat­o né Abrignani, né Guerra né Lanzillott­a. Che è successo? Lillo, facendo il suo mestiere, ha intervista­to alcuni parlamenta­ri e ne ha riportato le risposte nel libro. E i pm hanno scambiato le sue interviste per interrogat­ori. Clouseau ha colpito ancora.

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