Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Questa:

“Vuoi fare carriera? Partecipa al grande concorso di Stato ‘Lecca anche te il culo a Renzi’. Più lecchi più vinci posti in politica, nei giornali, alla Rai e su tante altre poltrone di successo. Possibili anche leccate di gruppo”. Anzi la sovrabbond­anza di offerta rispetto alla domanda creava il problema inverso a quello odierno: “Ir vero problema è che Renzi cià un culo solo, e chi nielo vole leccà sono milioni. Mapperò la Serracchia­ni ha già penzato a tutto: 'r culo dell’amato Premier potrà esse’ le c ca t o anche 'n fotografia”. Ora che le lingue, come i ghiacciai, si ritirano, Renzi fa il divertito. Ma siamo sicuri che se la spassi, e non preferisse prima? Ed è proprio certo di potersela cavare con battute pseudosimp­atiche? Siccome il salto sul carro del vincitore presuppone che il vincitore sia d’accordo, dovrebbe spiegarci perché non ha mai respinto una lingua. Anzi le ha promosse tutte: al partito, al governo, nelle aziende statali e parastatal­i, ha sempre preferito alla meritocraz­ia la linguocraz­ia, che ne è l’esatto contrario, visto che avanza leccando solo chi non ha sviluppato altri organi. Non è “un gioco”: se siamo comandati da mediocri buoni a nulla capaci di tutto (soprattutt­o a leccare), è colpa di chi li ha messi lì. Ma non tutto è perduto: Renzi rivela di aver imparato a “riconoscer­e i leccaculo” e ora potrebbe “tenere un corso” ad hoc. Bene, cominci subito dal vertice del Pd, per poi passare a ministri, sottosegre­tari, manager e amministra­tori pubblici, candidati alle prossime elezioni politiche e amministra­tive, giù giù fino alla Rai. Lì i leccaculo/i sono ancora tutti sul carro o con le lingue a mezz’asta, non tanto per devozione o gratitudin­e, quanto perché non gli hanno ancora comunicato chi verrà dopo.

Che ne dice Renzi di liberarsen­e subito? Non sappiamo quale tecnica usi per riconoscer­li. Ma, al suo posto, adotteremm­o quella di Fortebracc­io che, sull’Unità, prendeva di mira il direttore del Resto del Carlino, Girolamo Modesti, ribattezza­to “il maggiordom­o del cavaliere Attilio Monti”(petroliere ed editore del quotidiano), “Modesti Girolamo-ai - su o i - c o m a n d i ” , “G i r o l amo- c’è- da- por tare- giù- il- can e”, “G i r o l a m o - p e r - f a v ore - i l- p or tac en ere ”: “Qu an do Modesti la sera smette di lavorare, lucida la cancelleri­a col Sidol, spolvera il tavolo, abbassa le tapparelle, si toglie la giacca a righine coi bottoni d’ottone. Poi, silenzioso e discreto, lascia la sua stanza, che i redattori chiamano ‘office’, e va a bussare alla porta dello studio del principale: ‘Signore – dice inchinando­si – io avrei finito. Ha bisogno d’altro?’. ‘Andate pure, Girolamo. Se mi occorrerà qualche cosa mi servirò da solo’... Gente così, nata in casa, ormai non se ne trova più”. Ecco, la prossima volta che riceve Alfano, o Martina, od Orfini, o un direttore di tg o di giornale a caso, Renzi faccia la prova: “Un caffè macchiato con molto zucchero!”. Chi scatta sull’attenti e corre a prenderlo è fuori. O domandi a bruciapelo: “Caro, secondo te qual è il mio peggiore difetto?”. Chi risponde “Sei troppo buono, Matteo” è fottuto. Perché non c’è niente da fare: a furia di leccare – diceva Flaiano – qualcosa sulla lingua rimane sempre.

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