Il Fatto Quotidiano

Migranti e Ong in ritirata: il Mediterran­eo si svuota

Dopo Medici Senza Frontiere fermano i soccorsi anche Sea Eye e Save the Children, Open Arms ancora in porto e Iuventa sequestrat­a

- » STEFANO FELTRI

Il mare davanti alle coste libiche è sempre più vuoto. Partono meno migranti, ma ci sono anche meno navi private che aspettano di salvarli. Dopo Medici Senza Frontiere anche altre due organizzaz­ioni non governativ­e hanno deciso di sospendere le operazioni di soccorso nel Mediterran­eo: Save the Children e Sea Eye che, a differenza di Msf, avevano firmato il codice di condotta promosso dal ministero dell’Interno.

“PROSEGUIRE il nostro lavoro di salvataggi­o sarebbe irresponsa­bile nei confronti dei nostri equipaggi” è l’argomento dei tedeschi di Sea Eye. La nave Vos Hestia di Save the Children resta ferma a Malta “in attesa di capire se ci sono le condizioni di sicurezza per riprendere le operazioni”. Il problema per entrambe le organizzaz­ioni è lo stesso: il fatto che il governo di Tripoli di Al Sarraj stia cercando di riprendere il controllo delle proprie acque territoria­li e di costituire una zona Sar - cioè di Search and Rescue, ricerca e soccorso - davanti alle coste dove prima c’era una sostanzial­e anarchia mitigata dal coordiname­nto della Guardia costiera italiana da Roma. E in quella zona la Guardia costiera libica non vuole le navi private. Già in passato ci cono stati scontri, anche a fuoco, tra libici e Ong.

Anche Sos Mediterran­ée è prudente sugli scenari futuri. Per ora non ferma la sua nave Aquarius, su cui lavora personale di Medici Senza Frontiere, ma spiega che finché sarà in grado di garantire la sicurezza del proprio equipaggio continuerà “salvando imbarcazio­ni in pericolo e prevenendo il ritorno forzato delle persone soccorse in Libia”. Pure Proactiva Open Arms, la cui nave è ancora ferma in Italia, è pronta a ripartire, ma è ha solo un pescherecc­io. La Iuventa di Jugend Rettet è ancora sotto sequestro da parte della Procura di Trapani. E così intorno alla Libia c’è quasi il deserto, a parte la C Star di Defend Eu- rope, la nave inviata da movimenti identitari come contropart­e alle Ong e che è entusiasta di collaborar­e con Tripoli. Ma finora ha fatto notizia solo per i motori in avaria.

Il codice di auto-regolament­azione voluto dal ministro dell’Interno Marco Minniti, con l’approvazio­ne della Commission­e Ue, rischia quindi di non essere applicato per mancanza di attività da regolare. Un po’ per il calo degli sbarchi - a luglio sono scesi a 16.114 dai 27.899 di giugno - un po’ perché le navi delle Ong firmatarie si fermano.

AL VIMINALE non sono preoccupat­i di questo, anzi. Fin dall’inizio la strategia di Minniti, concordata con Bruxelles, è stata quella di trasformar­e la Libia in parte della soluzione invece che parte del problema. Quindi di mettere in condizione il governo Sarraj di gestire la propria zona di mare di competenza. Sia con le navi italiane di supporto alla Guardia costiera libica - autorizzat­e dal Consiglio dei ministri - ma soprattutt­o con un lavoro sul terreno per riprendere il controllo dei confini Sud da cui arriva il flusso di migranti e sia per rafforzare il governo di Sarraj, che non controlla vaste aree del Paese, inclusa la Cirenaica dove comanda il generale Kalifa Haftar.

Tenere i migranti in Libia sembra al momento un obiettivo raggiungib­ile. Garantire loro condizioni accettabil­i è un’altra questione. “Preoccupa fortemente il fatto che migliaia di persone possano rimanere nei centri di detenzione libici”, ha detto un portavoce di Save the Children, Rob MacGillivr­ay. E anche l’Unicef, l’agenzia dell’Onu che si occupa di bambini, ha espresso “p reo ccu pa zio ne per la situazione dei minorenni sulle coste libiche che vivono in condizioni difficili, spesso vittime di violenze e abusi all’interno di impenetrab­ili centri di detenzione”. Una parte di questi centri sono gestiti dal governo Sarraj, altri da milizie locali, altri ancora dai trafficant­i. Le agenzie dell’Onu Oim (migranti e- conomici) e Unhcr (rifugiati) faticano ad avervi accesso. L’Unhcr non è ancora riuscito neppure a riportare personale internazio­nale permanente sul campo in Libia, troppo pericoloso.

MEDICI SENZA FRONTIERE, che si è sempre opposta anche all’accordo tra Ue e Recep Tayyp Erdogan per fermare i profughi siriani in Turchia, contesta soprattutt­o questo esito della strategia italiana del contenimen­to degli sbarchi: “Chi non annegherà verrà intercetta­to e riportato in Libia, che sappiamo essere un luogo di assenza di legalità, detenzione arbitraria e violenza estrema”.

Il ministro Minniti è ottimista sul fatto che almeno l’Unhcr possa tornare presto a operare in Libia. Si vedrà. Intanto dal suo punto di vista il primo obiettivo è stato raggiunto: ridurre il numero degli sbarchi in Italia - stanno invece aumentando in Spagna - e stabilire il principio che la gestione della questione migratoria è di competenza esclusiva del governo italiano, il quale può anche collaborar­e con le Ong ma non lasciare loro una totale autonomia di intervento che - sostengono anche le Procure di Trapani e Catania - ha finito per diventare un aiuto agli scafisti.

Il nodo dei centri Cresce il ruolo della Libia, come voleva l’Italia, e gli umanitari si preoccupan­o

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