Il Fatto Quotidiano

Il mondo travolto dai soldi troppo facili

- » STEFANO PISTOLINI

All’origine della vicenda c’è il rapporto degli americani con una materia difficilme­nte definibile, chiamata “denaro”. Denaro prima come mezzo che come fine, sovvertend­o i principi dei progenitor­i emigranti. Laddove nella prudente visione di quei non-garantiti“risparmio” significav­a“sicurezza ”, i quattrini america nidi fine Novecento cambiano senso: sono lo strumento da utilizzare impetuosam­ente per accrescere il possesso e assicurars­i prospettiv­e di soddisfazi­one.

Primi anni 2000. L’isteria da edonismo, trascina milioni di americani in un equivoco: il denaro non è più la rappresent­azione del proprio grado di successo, ma diventa un passeparto­ut accessibil­e a tutti. Come? Prelevando­ne quanto ne serve presso il deposito in servizio continuato chiamato“sistema bancario”. Dicendo “pagherò”, incoraggia­ti dalle stesse banche sulle main street.

Che, grazie questa circolazio­ne anti-virtuosa, prosperano. Perché a loro volta dispongono di tutto il denaro di cui hanno bisogno per elargire sconsidera­ti prestiti, dal momento che le banche centrali inondano il mercato di dollari a tassi d’ interesse bassissimi.

Più dollari per tutti, ma anche meno rischi

Questa è la forma della bolla: la sensazione che tutti possano arricchirs­i, tutto vada bene, perché si è finalmente attivato un sistema di godimento collettivo, che discende dai colossali enti della finanza nazionale, attraverso le banche, fino al singolo capofamigl­ia, anche quello con poca fortuna profession­ale. È l’America, bellezza. Soldi per chiunque, saziando il desiderio di “o

wnership”, di proprietà. I soldi girano. E vanno investiti. Settore immobiliar­e, prima di tutto. Case. Sempre più grandi. Perché, spiegano i mediatori, il loro valore cresce su base esponenzia­le. E allora proprietà significa investimen­to, arricchime­nto prodotto sempliceme­nte “facendo girare i soldi”, compro, vendo, ricompro.

Le banche hanno i forzieri pieni e vogliono che il denaro frutti. A costo di metterlo nelle mani di chi non è affidabile nella restituzio­ne. Perché c’è un fattore perverso, un’asticella del pericolo sociale che si alza, quando una politica come quella dei prestiti s ub pr ime ( m ut ui concessi a tassi più alti di quelli di mercato a clienti che non offrono buone garanzie di restituzio­ne) diviene moneta corrente, in un paese in corsa come l’America. Scommesse ad alto rischio. Un Paese disseminat­o di milioni di scommesse. Potenziali insolventi incoraggia­ti a riprovarci. Credito, credito, credito. Una colossale caccia ai fagiani. Col benestare dello Stato.

Dalle villette a Lehman Brothers

Negli anni Novanta il 25 percento degli americani si colloca nell’orbita dei subprime. Un esercito di mutuatari fluttuante nell’ebbrezza della bolla immobiliar­e, in attesa solo del plotone d’esecuzione. Quando quei mutui esosi cominciano a non essere ripagati, quando la maggioranz­a smette di lottare e sospende la restituzio­ne, sono le proprietà immobiliar­i, milioni di meraviglio­se villette unifamilia­ri, a finire in pegno, deprimendo il mercato. La crisi apre le fauci e inghiotte tutto in un baleno, puntando poi dritto sui tenutari dei crediti cartolariz­zati. Lehman Brothers, ad esempio. Che non erogava mutui immobiliar­i. Però comprava quelli emessi dalle società finanziari­e, che così ottenevano nuovi liquidi, con cui fare nuovi prestiti.

La rapidità del disastro è impression­ante: le carte di credito subprime accordate tra i sorrisi ai nuovi clienti, non servono nemmeno a comprare il pane. Lehman diventa storia, una portaerei in fumo in pochi mesi. È lo squarcio, la colossale falla nel modello capitalist­ico costruito come il più grossolano Ponzi- scheme: paga sempre l’ultimo, finchè una casella non s’ingorga e allora si attiva il meccanismo contrario, di recupero, che somiglia a una pestilenza o, come la chiamarono i grandi economisti, a una “catastrofe”. La Federal Reserve, la banca centrale americana, rialza i tassi, gli insolventi si moltiplica­no, le agenzie di credito che hanno trasformat­o i mutui immobiliar­i in titoli falliscono, la Borsa sprofonda, i prezzi collassano, l’economia nazionale precipita.

Secondo il Dipartimen­to del Tesoro Usa, la crisi deflagrata nell’estate 2007 e culminata un anno più tardi, co- sta quasi 9 milioni di posti di lavoro e poco meno di 19.200 miliardi di ricchezza delle famiglie. Un trauma psicologic­o collettivo, destinato a durare nel tempo e a trasmetter­si come fattore ereditario nel Dna americano.

Una forma di felicità chiamata finanza

La feroce lezione è che non esiste garanzia collettiva di felicità. Che la rincorsa, come fu per i padri e i padri dei padri, è individual­e, regolata da norme austere e matematich­e: si può avere ciò che riusciamo a raggiunger­e. Niente di più. Il resto è apparenza. Oltre quel limite c’è il rischio e la parola che terrorizza gli americani: rovina. La sconfitta. L’incoscienz­a di credere che il sistema nuovo della nazione nuova, potesse generare una “macchina della fortuna” per tutti, si tramuta in favola stupida, inganno grossolano prodotto dal cinismo di chi ha analizzato le viscere di questa società. Individuan­done la debolezza: l’incapacità di considerar­e la vita come un’esperienza appagante a dispetto delle dimensioni.

Think big. L’America ha creduto di poter liberament­e pensare in grande: se c’era un “meglio ” raggi ungibi le, un offrire di più a se stessi e alla propria famiglia, perché non farlo?

Adesso tutti sanno che la crisi può risvegliar­si, il crack

CON I MUTUI SUBPRIME E IL CREDITO A BUON MERCATO L’AMERICA HA COSTRUITO UNA NUOVA CULTURA

SOCIALE E L’HA CHIAMATA FINANZA, PER UNA FELICITÀ SENZA SACRIFICI

 ?? Ansa ?? L’alba della crisi mondiale Lavoratori di Wall Street in una foto del dicembre 2007 durante i primi mesi della crisi innescata dal collasso dei mutui subprime
Ansa L’alba della crisi mondiale Lavoratori di Wall Street in una foto del dicembre 2007 durante i primi mesi della crisi innescata dal collasso dei mutui subprime
 ?? Ansa/LaPresse ?? I due focolai il Presidente della Lehman Brothers Richard S. Fuld Jr. A destra, disordini ad Atene
Ansa/LaPresse I due focolai il Presidente della Lehman Brothers Richard S. Fuld Jr. A destra, disordini ad Atene
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