Il Fatto Quotidiano

L’eredità in Italia: le famiglie povere sono raddoppiat­e

- » MARCO MARONI

Per

quanto politici ed economisti si sforzino di raccontare, in base agli ultimi segnali di rialzo del Pil ( quest’anno potrebbe fare l’1,3%) che il peggio è alle spalle, c’è una dato che racconta con cruda evidenza come siamo messi a 10 anni dallo scoppio della crisi: è quello sulle famiglie in povertà assoluta, che cioè mancano del minimo necessario per condurre una vita dignitosa. Erano 823 mila nel 2007, sono un milione e 619 mila ora. Ma soprattutt­o, come e più di quanto è avvenuto all’estero, sono aumentate le diseguagli­anze. “In Italia c’è stata una polarizzaz­ione dei redditi molto forte”, spiega Enrico Giovannini, economista ex presidente dell’Istat ed ex ministro del Lavoro, “i redditi del quinto più ricco della popolazion­e sono aumentati, quelli del quinto più povero sono diminuiti. Non solo, la povertà prima era concentrat­a nelle fasce d’età avanzate, adesso è tra le persone in età da lavoro e i minori”.

COME INVERTIRE la tendenza all’aumento povertà è la scommessa per i prossimi anni. Ma che in questi anni si siano poste le premesse per riuscirci è dubbio. E i margini d’intervento sono risicati. Il debito pubblico è passato da 1.600 a 2.200 miliardi. Con l’Europa che ci tiene il fiato sul collo i margini di espansione della spesa pubblica sono al minimo, ameno che l’economia riparta con vigore ben maggiore dell’uno virgola qualcosa. E la straordina­ria opportunit­à del

quantitati­ve easing, in pratica dei tassi sottozero, con cui la Bce ha cercato di far ripartire le economie e sanare le turbolenze finanziari­e, è destinata a finire. Vuol dire che non solo le imprese pagheranno di più per finanziare gli investimen­ti, ma che gli interessi che paga lo stato sul debito saliranno, rendendo ancora più stretto il sentiero delle politiche economiche. Con una stima sommaria, un aumento dei tassi d’interessi dell’1% ci costerebbe intorno ai 4 miliardi solo il primo anno, 8 il secondo e cos’via, allorchè i i titoli di stato in scadenza sono rinnovati.

ALLO SCOPPIO della bolla dei subprime l’Italia aveva ricomincia­to a crescere. Il prodotto interno lordo era salito del 2%, non granché, ma era il dato più alto dal 2000. La crisi ha messo in mostra tutte fragilità, dall’inefficien­za della spesa pubblica, alla vulnerabil­ità dei bilanci bancari, alla corruzione, agli scarsi investimen­ti delle imprese. Il risultato è che l’economia italiana nella crisi ha fatto peggio di quasi tutti i partner europei. Il fatturato dell’industria nel 2016 è sceso del 2% per il quarto anno consecutiv­o. “Ci sono voluti diversi anni perché le maggiori economie recuperass­ero”, ha scritto il Financial Times qualche giorno fa, con Usa e Germania che sono tornati ai livelli pre-crisi nel 2011, ma “quelli intrappola­ti nella crisi dell’Eurozona sono stati più lenti nel recupero. Fra questi il Portogallo, con un Pil inferiore del 2,4% rispetto al 2007, l'Italia col me- no 6,2% e la Grecia, con meno 24,8”. A rivelarsi un boomerang sono state le politiche di austerity, accompagna­te dalla crescente precarizza­zione del lavoro. Se la gente è più povera, la domanda cala, e dal circolo vizioso non si esce. Il problema è che in un mondo che sembra destinato a una crescita bassa, la cosiddetta “stagnazion­e secolare”, trovare la ricetta non è semplice. “Bisogna inventarsi un nuovo modello di sviluppo”, dice ancora Giovannini, che qualche indicazion­e la dà: “riconversi­one ecologica, investimen­ti in costruzion­i e nella sicurezza idogeologi­ca, ma, soprattutt­o è prioritari­a la lotta alla povertà: il futuro sarà pieno di choc economici, bisogna investire nella resilienza della società”.

Che la tendenza vada invertita ora lo ammettono anche i profeti del liberismo, tra cui il Fondo monetario internazio­nale. E in unworking

paper del 2 agosto scorso della Luiss School of European Political E

conomy, un gruppo di economisti il cui faro non è certo la reditribuz­ione della ricchezza, si spiega che per l’Italia derogare dalla disciplina di bilancio sarebbe un errore, ma si ammette: “È necessario ricomporre la spesa e rafforzare il potenziale di crescita; il che impone, fra le altre cose, il rilancio di efficienti investimen­ti pubblici e l’attivazion­e di politiche di redistribu­zione del reddito e di inclusione delle fasce più vulnerabil­i della popolazion­e”.

Rischio tassi Se risalgono dell’ 1%, saranno 4 miliardi in più di interessi sul debito solo il primo anno Aumenta la ricchezza della popolazion­e più abbiente

ENRICO GIOVANNINI I paesi coinvolti nella recessione Ue sono i più lenti

FINANCIAL TIMES

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