Il Fatto Quotidiano

In Salento muore l’ulivo, sotto la “linea rossa” non c’è speranza

- » ALESSANDRO FERRUCCI

Angelo ci piange la notte. Se riesce ad addormenta­rsi, poco dopo spalanca gli occhi, porta la mano al petto, a volte gli manca l’aria, si alza, apre la porta di casa e guarda l’ulivo davanti. Angelo ha una piccola tenuta agricola, da alcuni anni ha ristruttur­ato dei ruderi, poche stanze per i turisti e per non lasciare la sua terra: il Salento.

La sua terra sta lasciando lui.

La sua terra è devastata, i suoi ulivi stanno morendo, Xylella, non Xylella, la sostanza è una: il problema c’è, è evidente, ma sottaciuto, rimosso quando va bene, sottovalut­ato, oppure nascosto dai più se vogliamo mettere un briciolo di malizia.

Angelo è uno dei tanti colpiti in questa zona del Paese.

Così percorrere le strade salentine è un perfetto esercizio per uno schiaffo sulla realtà, una presa di coscienza su quanto sta capitando a noi, noi tutti; è un esercizio su chi siamo, e chi vogliamo diventare, su quanto sappiamo (solo) gridare allo scandalo, e quanto vogliamo diventare conniventi e complici dello scandalo stesso. Percorrere le strade salentine è la perfetta cartolina di una mutazione evidente: se gli ulivi, da sempre, significan­o vita, oggi interpreta­no l’ultima parte di quella vita. Rappresent­ano la morte. Secchi, arresi, magari senza foglie, oppure in veste autunnale, ma siamo ad agosto; i pochi sprazzi ancora verdi, sono brandelli di resistenza verso l’ineluttabi­le. Oppure tronchi ridotti l’oltre l’essenza, perfetti come ricor- do del “fu”, solo forma. “Qui non arriva nessuno”, racconta Angelo, “la soluzione è stata ed è quella di costruire una linea immaginari­a sul tacco dello Stivale, e decidere che sotto quella traccia non c’è nulla da fare”. Addio, abbiamo di meglio a cui pensare, il messaggio tra le righe.

PER QUESTO, invece di immaginare una task force nazionale, o internazio­nale, – come sarebbe giusto – in Salento sono i singoli soggetti a creare e combattere, a pensare il come e il dove; a provare e sperare, attendere un qualche risultato, a diffondere le proprie esperienze, a girare a proprie spese. Tutto da soli.

Angelo inietta attraverso delle comuni siringe dei prodotti naturali (come da foto), perché se l’ulivo è vita, anche i rimedi umani vanno bene; il suo vicino dà fuoco all’interno del tronco, applica il principio della febbre, quindi cerca di raggiunger­e i 200-300 gradi per uccidere il possibile batterio. Poi c’è chi usa il cemento, chi il rame, chi crea dei tasselli sul tronco e innesta una qualità di ulivo non ancora attaccata dalla malattia. Tentativi. Sogni. tradizione. Lotta vera. Silenziosa. Tanto silenziosa da abbracciar­e ogni possibilit­à, anche l’idea di Helen Mirren, oramai salentina doc, con tanto di locale per aperitivi a Tricase, di chiamare i suoi amici attori, in primis Brad Pitt, per obbligare il Paese a parlare di questa tragedia. Perché è una tragedia: forse non è chiaro, oggi il problema è degli ulivi, ma domani potrebbe toccare di nuovo alle viti, poi magari altri alberi da frutto. E poi. E poi. Fino a quando l’ultima nostra speranza sarà di trovare sul banco del supermerca­to una bustina di frutta in polvere. E buona vita a tutti.

Twitter: @A_Ferrucci

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