CLASSICI Quello che gli scrittori ( giovani) non leggono
Alzi la mano chi non ha mai mentito. Si faccia avanti chi non ha mai millantato diaverlettol’ Ulisse diJam es Joyce, spergiurando di rileggere ogni estate Proust. Bugie bianche o ego ipertrofico, la tendenza a fingere di aver letto i classici ha subìto una netta impennata in epoca social network, inserendo citazioni ad hoc di David Foster Wallace per impressionare i follower.
Ma se ai comuni lettori è concesso di scoprire tardi un classico, sugli scrittori incombe una sorta di stigma sociale e nessuno sembra disposto ad ammettere le proprie – umane – carenze in tema di letture celebri. O no? “Classico è per definizione ciò che non va di moda – afferma Andrea
Marco longo che attualmente è in Jugoslavia, immersa nella scrittura del suo secondo libro –, ma se c’è un autore che proprio non digerisco è Dostoevskji. Ogni volta che ci provo mi areno dopo centocinquanta pagine di sfilze di personaggi e queste sue lucide pagine di analisi storico- sociale cui tutti si riferiscono, proprio non le vedo. Soffro, chiudo e passo avanti”.
MA OVVIAMENTE capofila dei classici non letti è lui, Marcel Proust e À la recherche du temps perdu. “N o, non l’ho letto e non lo leggerò – afferma la scrittrice e libraia, Cristina Di Canio
–. Perché? È un libro immenso e io che mi sono anche tatuata un orologio senza lancette, non ho proprio
tempo da perdere”. Fingere di aver letto un libro è una tendenza così diffusa che c’è persino un acronimo – GUB, great unread book– come fa notare Alessandro Mari (in usci
ta il 31 agosto con Cronaca di
le i, Feltrinelli). E poi ammette: “Ho mollato la Re
cherchedopo tre volumi. Mi sono bastati, avevo capito il gioco e non avevo voglia di proseguire. E in gioventù, per non fare arrabbiare la ragazza che frequentavo all’epoca, non ho mai ammesso di non aver finito Gli
indifferenti di Moravia. Ma non l’amavo abbastanza per leggerlo davvero”.
MA C’È UN LIBRO che tutti facciamo finta di aver letto e di cui conosciamo – se va bene – solo degli stralci è la Bibbia.
“Ammetto che vorrei provare a leggerla per intero – conclude Mari – ma forse non lo farò mai”. Un intento condiviso dalla scrittrice pugliese A nt on el la
Lattanzi che si pone un obiettivo ambizioso: “Un giorno vorrei studiarla. La Bibbia è un libro avventuroso, pieno di immagini furibonde e sanguinarie. Ma sono sincera, non l’ho letto e forse non lo leggerò mai”. Amen.
Poi a volte i classici ven-
gono scartati per una questione di tempismo, come accaduto al torinese Clau
dio Marinaccio (“Sì, avrei dovuto leggere Orgoglio e
pregudizio ma forse me ne hanno parlato così tanto che alla fine, per reazione, ho letto Orgoglio e pregiudi
zio e zombiee ora mi farebbe impressione tornare indietro”) e ad Anna Giuricko
vic Dato. “Avrei voluto leggere Ivanhoe ma la mia prof lo assegnava solo ai maschi. Poi l’ho comprato ma è ancora lì, così come
Dracula perché da piccola amavo
Carmilla di Le Fanu e non avevo occhi per altri vampiri”.
Ma far finta di aver letto i classici può essere anche un passe par tout per la seduzione e in guerra e in amore, si sa, vale tutto. “Certo che ho mentito! Non so quante volte, per impressionare una ragazza o durante un incontro di lavoro, ho finto di aver letto un classico. Ma poi mi sono sentito talmente a disagio che ho recuperato. E quel libro poi,
Il Gattopardo o La casa in collina di Pavese ad esempio, l’ho letto davvero”. Ma un attimo prima di ricevere una piena assoluzione, lo scrittore partenopeo Ste
fano Piedi monte continua :“Un classico moderno che non ho affatto intenzione di finire di leggere è In
finite Jest di David Foster Wallace. Come si fa a proporre al lettore un libro con duecento note a fondo libro? Una follia”.
MAIL TEMA dell’ inganno per sedurre è uno dei capisaldi e si ripresenta con Crocifisso Dentello: “Per fare colpo dissi a una ra- gazza che Virginia Woolf era la mia scrittrice preferita e che avevo letto ogni sua riga. Ovviamente era una bugia”. Ma non è tutto. “Mi sono dovuto torturare di pizzicotti ma alla fine ho dovuto mollare l’Ul i s se e Musil. Morirò senza averli letti”. E c’è chi come Vanni
Santoni ha chiuso la porta in faccia a Il dottor Zivago.
“Di solito mi metto a posto la coscienza dicendomi che in realtà è sopravvalutato ma non avendolo letto non posso saperlo. Chissà, forse mi sbaglio, ma intanto continua a non attirarmi”.
Sì, leggere i classici è una scalata, anche faticosa, ma a cosa serve davvero? “Ho una grandissima ammirazione per Gabriel Garcia Marquez e ho amato i suoi libri ma lo confesso, non ho mai finito di leggere Cent’anni
di solitudine – afferma Pao
lo Di Paolo – d’altronde vantarsi di non aver letto un classico sarebbe un errore fatale. Bisogna semplicemente attendere perché l’appuntamento con i libri è sempre frutto di un incontro, di un’attesa”.
Quando si parla di classici si subisce giocoforza un condizionamento culturale e serve un pizzico di sfrontatezza per ammettere di non aver letto qualcuno. Ma è liberatorio.
Del resto, persino Umberto Eco, un giorno disse che la Bibbia era quel classico che avrebbe letto in un’altra vita. Prendete nota.
“Dostoevskji? Mai capito” “Forse un giorno la Bibbia” “Per Proust non ho tempo” “La Woolf mi è servita per rimorchiare una donna”