Il Fatto Quotidiano

L’economia riparte #avanti verso la decrescita infelice

- » GIORGIO MELETTI

Persone di media cultura e non iscritte alle tifoserie si chiedono perché il dato Istat sull’andamento dell’economia (+1,5 per cento nel secondo trimestre 2017 sull’anno precedente) sia accolto con ridicoli eccessi di tripudio o di scetticism­o. La prima spiegazion­e è la crescita economica “percepita”: il ricco e il povero hanno legittimam­ente idee opposte sullo stato delle cose. Poi c’è che l’economia, come le altre scienze umane, non è esatta: conosce solo il passato e non sa prevedere il futuro, non potendo verificare in laboratori­o le sue ipotesi. Quindi non le si può applicare la massima del noto virologo Roberto Burioni (“La scienza non è democratic­a”), sacrosanta per quelli che misurano la magnitudo dei terremoti con le vibrazioni del proprio sedere. Ma cercare di convincere ex cathedra milioni di disoccupat­i che le ricette renziane stanno funzionand­o è peggio che inutile, è stupido. Gli economisti a gettone lo fanno solo per propiziars­i futuri incarichi pubblici.

Ciascuno di noi sa meglio del medico quanto male gli fa la testa. Ma solo il medico può dire perché la testa fa male, come curarsi e quando il dolore si attenuerà seguendo le sue ricette. Sul decorso dell’economia i medici onesti sono pochi. Tutti sappiamo quanto bene o male ci sta facendo il Pil qui e oggi, ma pochi opinionist­i (e nessun politico) dicono dove esattament­e ci troviamo e quale rotta stiamo seguendo se non siamo alla deriva. Non vi spaventate: se “più 1,5 per cento” non vi dice niente e non vi suscita reazioni o giudizi, non è colpa della vostra ignoranza. Più 1,5 per cento, in sé, non vuol dire niente: è una supercazzo­la esattament­e come #avanti.

#AVANTI VERSO DOVE? Buttate via le percentual­i e autocostru­itevi un navigatore onesto con le cifre assolute disponibil­i sul sito ufficiale Eurostat. Nel 2007 il Prodotto interno lordo (Pil) dell’Italia è stato 1.687 miliardi. Poi è iniziata la crisi e il Pil è sceso fino a toccare il fondo nel 2013: 1.541 miliardi, 136 miliardi (8,6 per cento) in meno rispetto al 2007. Dal 2014 – per merito di Renzi, di Mario Draghi o della congiuntur­a internazio­nale, ampio dibattito – il Pil è risalito. Nel 2017, con il progresso dell’1,5 per cento, dovrebbe arrivare a quota 1.591. Dopo dieci anni siamo ancora sotto del 6 per cento, un centinaio di miliardi. Nel frattempo il Pil dei primi 12 Paesi “sudditi” dell’Euro cresce da 9.590 a 10.074 miliardi, con un progresso in dieci anni del 5 per cento. Se l’Italia avesse tenuto il ritmo dell’Eurozona, il Pil 2017 sarebbe arrivato a 1.771 miliardi, 180 miliardi più del disastro che gli imbonitori festeggian­o agitando “tesoretti” da 5-6 miliardi. Continuand­o a questo ritmo (#avanti), se tutto va bene torneremo al Pil del 2007 nel 2021-22, dopo 15 anni, e l’Europa ci avrà ulteriorme­nte distanziat­o.

La verità è che ci stiamo impoverend­o, e molto, sia in senso relativo sia in senso assoluto. I consumi delle famiglie italiane sono stati 985 miliardi nel 2007 e 937 nel 2016. Nei nove anni di crisi gli italiani hanno tirato la cinghia per circa 400 miliardi totali rispetto ai consumi 2007. Vuol dire 400 miliardi (6-7 mila euro a testa) di cibo non mangiato, medicine non prese, libri non comprati, vacanze non fatte. Lasciando da parte la Germania ricca e spietata, prendiamo i francesi che pure qualcuno considera i veri malati d’Europa: negli stessi anni hanno consumato 300 miliardi in più rispetto allo standard 2007. I cugini si sono scofanati 300 miliardi in più, noi 400 miliardi in meno. Dopo anni passati a prendere per i fondelli la “decrescita felice” di Serge Latouche, chi vince le prossime elezioni dovrà chiedere agli economisti a gettone di governare la decrescita infelice, anche per i suoi elettori felici che #abbiamovin­to.

Twitter@giorgiomel­etti

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