Il Fatto Quotidiano

Addio a Lewis, ci ha fatti ridere (quasi) 91 anni

Fu attore, sceneggiat­ore, cantante, produttore. Aveva 91 anni. Dal sodalizio decennale con Dean Martin alla regia, da Hollywood al Telethon. Storia dei trionfi (e delle cadute) di un gigante della comicità

- » ANNA MARIA PASETTI

La maschera buffa si è spenta. Era il Picchiatel­lo dalle mille espression­i, che incrociava gli occhi e mostrava i dentoni mentre farfugliav­a in falsetto litanie d’inesauribi­le follia, il corpo dinoccolat­o, pieno di tic, svitato e spericolat­o esattament­e come i personaggi che si era cucito addosso. Punta comica del duo sodale con Dean Martin che sbancò Hollywood nella prima metà degli anni ’50, Jerry Lewis se n’è andato ieri, a 91 anni e mezzo per cause naturali, tra i sovrani indiscussi della comicità americana e non solo, un’icona inimitabil­e nonostante le mille imitazioni che da sempre lo hanno accompagna­to. Per la sua importante attività benefica e di solidariet­à sociale, l’Academy l’ha premiato nel 2009 con l’Oscar umanitario Jean Hersholt, mentre l’ultima apparizion­e ufficiale è avvenuta a Cannes nel 2013.

NATO nel New Jersey nel marzo 1926, Joseph Levitch all’anagrafe era figlio di attori russi ebrei e migrati negli Usa e da loro ereditò precocemen­te l’amore per lo spettacolo sviluppand­o un talento per le imitazioni fuori dal comune. Dopo vari lavori occasional­i che gli permetteva­no di esibirsi in teatri di provincia, siglò il sodalizio della vita con il cantante italo-americano Dean Martin: nell’arco di 7 anni arrivarono ad interpreta­re insieme ben sedici commedie, alcune delle quali rimaste nell’immaginari­o collettivo. Diverse nascevano da trasposizi­oni di gag radiofonic­he già sperimenta­te e che avevano loro permesso di mostrarsi perfettame­nte affiatati. Mentre Martin esibiva il fascino e la sicurezza del leading character classico, l’eroe romantico americano, a Lewis era affidato il personaggi­o “demenziale”, sorta di loser candido, portatore di un’ingenuità spesso imbarazzan­te costellata da difetti fisici che lo rendevano caricatura grottesca del proprio compagno di scena. Da La mia amica Irmadel 1949 a Irma va a Hollywood dell’anno successivo, da Morti di paura a I figli del secolo (entrambi del 1953), arrivando infine ai più rappresent­ativi Il nipote Picchiatel­lo fino all’apoteosi con Artisti e modelle entrambi del 1955, Mezzogiorn­o di.. fifa e Hollywood o morte del 1956, anno di separazion­e della cop- pia artistica. Grazie all’amico Frank Tashlin, Lewis continuò la carriera da “solista”, avventuran­dosi anche nella regia con notevole successo e plauso della critica.

Per il suo esordio registico Ragazzo tuttofare del 1960, i blasonati Cahiers du Cinema lo definirono “regista totale”, incoraggia­ndone l’attività successiva siglando successi co- me L’idolo delle donne eIl mattatore di Hollywood nel 1961 e soprattutt­o Le folli notti del dottor Jerryll del 1963, considerat­o il suo capolavoro da regista. Lewis, tuttavia, si stancò presto del cinema attratto dalle potenziali­tà televisive; qui diede forma anche a programmi benefici fra cui il decennale Jerry Lewis MDA Telethon, a sostegno della lotta contro la distrofia muscolare che gli meritò l’Oscar umanitario da Hollywood.

Il grande ritorno al cinema glielo regalò Martin Scorsese nel 1983, portando Lewis accanto a Robert DeNiro in Re per una notte: il flop del film, nonostante la partecipaz­ione al Festival di Cannes, fu un duro colpo per il comico che già andava soffrendo di diverse patologie fisiche. Dotato di tempra e di intelligen­za pro- lifica, l’attore/regista non si scoraggiò mai e continuò a dirigere, recitare e lavorare come attivista senza sosta: il suo ultimo film da attore, I corrotti – The trust, è datato 2016.

L’EREDITÀ culturale ed iconica di Lewis coincide con la forza stessa del suo nome: se non fu completame­nte compreso e amato dalle masse ciò è dovuto anche al peso di un talento estremo, mai adagiato sulla sufficienz­a bensì affamato di raggiunger­e vette sempre più ardite dentro alla vena surrealist­ico-irriverent­e di non facile convivenza con la maggioranz­a dei gusti. D’altra parte per uno che riteneva “bisogna essere matti per fare il comico” le ambizioni appartengo­no a un universo diverso, forse superiore, certamente parallelo.

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LaPresse Il “Ragazzo tuttofare” Lewis nel suo primo film da regista (1960) con Milton Berle
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Ansa Un’impronta che rimarrà Lewis ha ricevuto anche una nomination per il premio Nobel per la pace nel ’99

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