Altro che moda: è il desiderio di maternità che è stato rimosso
Questa volta la polemica – che ogni tanto riaffiora sul web – l’ha riaccesa il blogger Vincenzo Maisto, che ha intercettato alcuni post del gruppo segreto su Facebook “Il mio bimbo speciale”, in cui alcune donne raccontano come utilizzano le cosiddette Reborn Dolls, bambole rinate, in pratica dei neonati finti identici a bambini veri. Queste madri raccontano come cambino e vestano i bambini, li portino al parco, facciano finta di accompagnarli dal dottore. “Allucinante, agghiacciante, inquietante”: questi alcuni degli aggettivi subito utilizzati per pratiche giudicate apertamente psicotiche, anche in analogia all’acquisto di bambole di gomma simili a donne vere utilizzate da uomini facoltosi per simulare rapporti reali. Eppure la denuncia scandalizzata poco serve a capire questa “moda”, che invece andrebbe letta con un po’ di profondità psicologica.
IN FONDO, è come se una società che di fatto ha cancellato le famiglie numerose e i bambini facesse emergere un desiderio rimosso talmente grande da esprimersi anche in comportamenti in apparenza assurdi. In fondo, il gioco infantile di prendersi cura di una bambola esprime una fantasia di cura che dovrebbe trovare una gratificazione più avanti nella vita, mentre oggi è, appunto, cancellata, perché le paladine del no kids esistono (e meno male), ma non coincidono purtroppo con ogni donna che non ha figli.
Ecco allora la voglia di riprendere quei gesti totalmente dimenticati: lavare, cambiare, cullare, quasi come una terapia per generazioni non consapevoli fino in fondo del prezzo da pagare per aver scelto, o forse solo accettato, di essere privi di figli o averne troppo pochi. Allora è facile puntare il dito, stigmatizzare, gridare alla patologia. Molto meno invece cercare di capire da dove nasca una spinta così forte a vestire un neonato da far sì che una donna accetti persino che sia privo di vita.