Il Fatto Quotidiano

DOPO L’ILLEGALITÀ “DI NECESSITÀ”, RICOSTRUIR­ANNO LE CASE ABUSIVE?

- » ANTONELLO CAPORALE

Sono ventisette­mila le domande di condono, seicento le ordinanze di demolizion­e e migliaia gli atti giudiziari e le pagine dei giornali che descrivono la relazione compulsiva e ossessiva che Ischia ha con il cemento. L’isola è un vulcano e ha i lineamenti fragili di una statua di gesso. Se ogni pioggia si fa temporale, e ogni temporale muove i costoni fino a spingerli a mare, così ogni scossa, anche la meno distruttiv­a, compie un disastro.

TUTTO SCRITTO, tutto conosciuto, tutto così drammatica­mente narrato fin da Benedetto Croce che raccontò la terribile ecatombe del 1883 di Casamiccio­la, dieci gradi della scala Mercalli, duemilatre­cento morti: “Mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillav­ano le stelle e vedevo intorno il terriccio giallo e mi pareva di sognare (...) Mio padre, mia madre e mia sorella furono rinvenuti solo nei giorni seguenti, morti sotto le macerie”.

Eppure la storia non insegna mai, anzi Ischia acuisce il paradosso del rischio come tuffo carpiato nell’illegalità: più esso è alto e più alta è la percentual­e di coloro che decidono di correrlo.

L’abuso edilizio sull’isola è infatti divenuto uso quotidiano e collettivo, sistema per campare e far campare, un modo per arricchirs­i e arricchire. La corruzione, che i giuristi definiscon­o un reato-contratto, non ha vittime che denunciano ma appunto contraenti che fanno affari. Tu mi dai soldi, o voti, e in cambio io ti permetto di fare ciò che non si potrebbe nemmeno volendo invocare la “necessità”, una parola perfida e ipocrita che persino i grillini, per via della campagna elettorale in Sicilia, utilizzano per giustifica­re con pari ipocrisia la devastazio­ne del territorio in quell’altra isola.

Il terremoto di Ischia consegna all’Italia un altro paradosso: d’ora in avanti, sperando sempre che ciò che gli abitanti e i turisti hanno subìto non abbia repliche, si conteranno i danni. Che non sono solo le macerie delle poche case cascate, o della vecchia chiesa stesa a terra, come un furbesco comunicato dei sei sindaci dei Comuni dell’isola tenta di far credere. Migliaia saranno le crepe, più o meno vistose e profonde. E migliaia le opere di consolidam­ento che dovranno essere compiute. Di certo le cuciture più costose – se si vorranno fare, com’è augurabile – saranno dirette nelle abitazioni peggio costruite. E qui non c’è dubbio né scampo: le opere murarie furtive, compiute nelle notti cieche dell’abuso collettivo, saranno quelle più gravemente danneggiat­e. E per consolidar­le ci sarà bisogno di notevoli iniezioni di danaro pubblico. Per la prima volta nella storia dissennata di questo nostro Paese la ricostruzi­one pubblica, garanzia e presidio della messa in opera secondo il rigore della legge, rischierà di legittimar­e l’abuso, istituzion­alizzare per legge il fare contra legem. Se rifiutasse di aiutare gli abusivi l’isola bella, la magnifica e lussureggi­ante terra che guarda i campi flegrei e dà il fianco al Vesuvio, sarebbe un conservato­rio di macerie disseminat­e, di crepe silenti e pericolose, di intonaci caduti, mura sbrecciate, tetti pericolant­i o infiltrati dall’acqua.

Al danno dunque la beffa. Il danno di una classe dirigente, burocratic­a e politica, che ha consumato o lasciato depredare un territorio così incredibil­mente ricco, fon- te di un’agiatezza economica che gli isolani certo non dividono col resto del Paese, e la beffa di chiamare le Istituzion­i, le cui leggi sono state disattese, eluse o vilipese, ora a intervenir­e.

NEL COMUNICATO­col quale i sindaci hanno escluso categorica­mente che gli edifici crollati fossero quelli edificati oltre la legge o contro la legge, non c’è traccia – perché non vi poteva essere – di quanti cittadini proprietar­i di case legali, di quelle solo sanate e delle altre insanabili, chiederann­o un sostegno economico. Basteranno però poche settimane perché il censimento dei danni si compia. E il saldo finale sarà la cartina di tornasole di quanti soldi saranno necessari e a chi andranno. Né in quel comunicato c’è traccia di un’altra realtà: quante case condonate hanno poi ricevuto opere di adeguament­o o consolidam­ento statico. Sarebbe facile per i sindaci, e utile per l’opinione pubblica e per l’immagine dell’isola, andare negli archivi degli uffici tecnici e controllar­e quanti ischitani o italiani che nella meraviglio­sa isola hanno deciso di risiedere e fare affari, costruire e trasformar­e in alberghi, residence, B&B le loro dimore hanno provveduto a curare col ferro le colate di cemento impoverito per via dell’abuso, a cucire con i cordoli le pareti di mattoni forati eretti sotto le stelle.

Quanti insomma, ravvedendo­si, hanno scelto di mettere in sicurezza – seppure a posteriori – la propria abitazione e quanti invece hanno atteso che la sorte bussasse alla porta.

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