Il Fatto Quotidiano

L’odissea di Omar, perseguita­to dal terrore

Studente, era scappato dalla Siria per evitare le bombe: le ha trovate in Spagna

- » ROBERTA ZUNINI

“Quando l’ho saputo dalla telefonata di un amico di Barcellona a conoscenza del mio nuovo lavoro come cameriere in un ristorante vicino alle Ramblas, mi è crollato il mondo addosso. In questi otto mesi avevo tentato in tutti i modi di essere ottimista, di lasciarmi alle spalle le mostruosit­à che avevo vissuto in Siria, il naufragio nel mar Egeo, la barriera di filo spinato sul confine tra la Grecia e l’Ungheria, il caos a Idomeni e l'internamen­to nel campo profughi di Salonicco, un altro viaggio costoso e pericoloso con i trafficant­i di uomini alla volta della Catalogna, e quando la pace iniziava a sembrarmi reale, eccomi di nuovo, mio malgrado, in mezzo al sangue e alla morte”. Omar è il nome di fantasia (la sua famiglia risiede an- cora in Siria) di un 26enne della periferia di Damasco che incontrai la prima volta un anno e mezzo fa nell'isola greca di Lesvos, di fronte alla Turchia, e tre mesi dopo nel fango di Idomeni dove questo studente universita­rio dall'inglese fluente attendeva invano da settimane di poter passare il confine con l'Ungheria alla volta del Nord Europa.

Figlio di un professore di arabo classico e di una casalinga, quando scoppiò il conflitto siriano nel 2011 era in procinto di volare in Estremo Oriente per frequentar­e un anno di università. “Mai avrei pensato di finire a Barcellona e fare il cameriere. Nei miei progetti c'era la laurea in g raphic novel e specializz­azione in animazione computeriz­zata, una seconda scelta dopo che mi era stata negata la facoltà di giornalism­o nonostante a- vessi passato i test. In Siria le facoltà più prestigios­e e i posti di lavoro più appetiti vanno sempre ai membri della minoranza religiosa a cui appartiene la famiglia Assad, gli alawiti, e ai figli dei sunniti ricchi con entrature nel clan del presidente, caratteris­tiche che io non avevo”.

PER EVITARE l'arruolamen­to obbligator­io nell'esercito, Omar è fuggito in Turchia e quindi in Grecia pagando i trafficant­i con i soldi che i familiari hanno colleziona­to vendendo un pezzo di terra e usando i risparmi di una vita. “Tutti i miei fratelli e sorelle sono molto più vecchi di me, solo io avevo l'età giusta per essere arruolato e per questo sono stato anche l'unico ad andarmene. Non potrei sparare nemmeno a un animale”.

“Speravo di andare in Germania o in Svezia ma poi ho incontrato tanti volontari spagnoli, specialmen­te di Barcellona, con i quali sono diventato amico e che mi hanno sempre aiutato e sostenuto. E non mi sono pentito di essere venuto qua: ogni volta che dicevo di essere siriano, la gente mi ab- bracciava, mi diceva di essere sconvolta da ciò che era successo, di sentirmi benvenuto. Alcuni mi hanno invitato a stare da loro se non avessi più avuto un posto dove dormire”, mi spiega con la voce rotta dal magone.

Dopo una pausa riprende, con tono fermo: “Per favore scrivi che io non ho paura per la mia incolumità, non ho paura che qualcuno mi faccia del male per vendetta essendo di religione islamica sunnita. Scrivi che l'unica cosa di cui ho paura è la perdita di fiducia degli abitanti di Barcellona nei confronti di noi profughi. Ho paura che inizino a pensare che siamo tutti come quei ragazzi deboli e ignoranti che si sono lasciati irretire dal marketing dell'Isis”.

NEL SUO SPAGNOLO perfetto, Omar tiene a spiegare che lui non è più la stessa persona di un anno e mezzo fa. “Ti ricordi quando ti dissi che non riuscivo a capire come si potesse non credere in Dio, qualsiasi Dio? Ecco, ora lo posso capire, perché ho incontrato tanti atei che sono molto più altruisti di tanti musulmani e cristiani. Sono un uomo libero di pensare con la mia testa, grazie alla gente che ho incontrato in questa pacifica e meraviglio­sa città. Vivo e mangio nei locali messi a disposizio­ne da un'Ong e campo con i soldi del ristorante”.

La Spagna ha appena accettato la richiesta di asilo di Omar. Sono trascorsi solo otto mesi da quando è sbarcato a Barça, come chiama con affetto e riconoscen­za la città dove è rinato, ma ha rischiato, ancora una volta, di morire.

Ho paura che qui inizino a pensare che siamo tutti come quei ragazzi che si sono fatti irretire dall’Isis

 ?? Ansa ?? Tappeto di fiori L’ennesimo tributo alle vittime dell’attentato jihadista sulla Rambla
Ansa Tappeto di fiori L’ennesimo tributo alle vittime dell’attentato jihadista sulla Rambla

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