Air Berlin, il disastro gemello di Alitalia (con finale diverso)
FINE CORSA Il vettore tedesco crolla come la compagnia italiana, sotto il peso di una gestione scadente della controllante Etihad. Ma la Germania ne approfitterà per rafforzare la presa sui cieli
Nonsono passati neanche tre mesi da quando Alitalia ha portato i libri in tribunale, che anche l’altra grande partecipata europea di Etihad, la tedesca Air Berlin, ha dovuto fare altrettanto. E il governo tedesco si è comportato allo stesso modo di quello italiano, concedendo un prestito ponte, pur se limitato a 150 milioni contro i nostri 600.
Si tratta indubbiamente di un doppio fallimento di Etihad, non in grado di gestire in maniera profittevole due aziende nelle quali era entrata con partecipazioni rilevanti anche se non di maggioranza assoluta, vietata dalle norme comunitarie. Per la compagnia del Golfo era un modo per entrare dalla porta di servizio nel grande mercato europeo del trasporto aereo, aggirando le norme che riservavano lo status di vettore comunitario alle compagnie di proprietà di soggetti interni, e per fare concorrenza ai grandi vettori tradizionali. L’operazione non è riuscita ed è fuori dubbio che Lufthansa cercherà di trarre, col sostegno del suo governo, il massimo vantaggio possibile dalla situazione attuale.
AIR BERLIN E ALITALIA hanno dimensioni simili: prima di concedere ben 38 aerei in wet leasing, equipaggi compresi, al gruppo Lufthansa con decorrenza dal marzo scorso, Air Berlin disponeva di una flotta poco più grande di Alitalia, circa 140 aerei contro 125, e trasportava più passeggeri, poco meno di 29 milioni contro i 23 di Alitalia. Realizzava inoltre ricavi maggiori perdendo più soldi: nel 2016 i ricavi totali sono stati pari a 3,8 miliardi, contro i 3,2 di Alitalia, un dato che risale tuttavia al 2015 in quanto il bilancio 2016 non è mai stato depositato. Air Berlin nel 2016 ha perso complessivamente 807 milioni, di cui 667 milioni rappresentano la perdita industriale; nel caso di Alitalia il saldo negativo di conto economico che emerge dalla documentazione allegata alla richiesta di amministrazione straordinaria è invece di 499 milioni, la perdita industriale non è nota. Anche nel 2015 Air Berlin aveva fatto peggio, con un risultato d’esercizio negativo per 446 milioni rispetto ai 199 del gruppo Alitalia.
Qui le analogie finiscono e iniziano le differenze. Alitalia è la prima compagnia sul mercato italiano e la sua debolezza deriva principalmente dal fatto di non essere sufficientemente grande e di lungo raggio per sostenere gli effetti della competizione di un gruppo agguerrito di vettori low cost, ognuno dei quali più piccolo di Alitalia nel mercato nazionale; invece Air Berlin è solo la seconda compagnia tedesca e la sua debolezza deriva dalla grande forza del primo vettore sul mercato, il gigantesco gruppo Lufthansa, che finirà con l’inglobarne la parte più grande possibile. Lufthansa è un’azienda privata, quotata in Borsa, ed è gestita secondo logiche di mercato, tuttavia non all’insaputa del suo governo il quale non si lascerà scappare l’occasione per rafforzare ulteriormente il suo campione nazionale che è anche campione europeo per dimensioni economiche.
Queste strategie prevedibili hanno conseguenze sul caso Alitalia in quanto tolgono Lufthansa, il candidato europeo più interessante se non l’unico, dalla lista dei vettori potenzialmente interessati all’acquisizione della nostra compagnia.
Accanto al confronto tra Alitalia e Air Berlin è utile comprendere anche le grandi differenze tra Lufthansa e Alitalia, i due vettori nazionali storici. Sino a quasi tutti gli anni Sessanta, Alitalia era non solo molto più prestigiosa di Lufthansa ma anche più grande, trasportava più passeggeri e impiegava più personale. I due vettori erano il terzo e il quarto in Europa, alle spalle di British ed Air France. Mezzo secolo dopo Lufthansa realizza invece ricavi pari a oltre dieci volte quelli di Alitalia, fatturando 34 miliardi di euro all’anno contro 3,2, e dà lavoro a 124 mila persone, di cui 68 mila in Germania e 56 mila nell’insieme degli altri numerosi paesi in cui opera, contro meno di 12 mila per Alitalia. Inoltre, mentre molti dei 12 mila di Alitalia sono a rischio a causa della crisi aziendale, solo nello scorso anno il gruppo Lufthansa ha accresciuto il suo personale di 4.000 unità, corrispondenti a un terzo di Alitalia. La sola Lufthansa Technik fattura oltre 5 miliardi, di cui più di due terzi per servizi di manutenzione e riparazione resi a compagnie esterne al gruppo; nel solo catering il gruppo Lufthansa fattura come l’intera Alitalia (3,2 miliardi, di cui l’80% per servizi resi a vettori extra gruppo); nell’ultimo esercizio il gruppo Lufthansa ha realizzato un risultato industriale di 2,3 miliardi, corrispondenti a oltre i due terzi dell’intero fatturato di Alitalia, e profitti netti per 1,8 miliardi, pari a oltre metà del fatturato di Alitalia.
LA LUNGA STRADA percorsa da Lufthansa nell’u lti mo mezzo secolo è ben evidente ed essa getta una luce particolare su quella assai meno felice di Alitalia. Di chi è il merito nel primo caso e la colpa nel secondo? Ovviamente della qualità della gestione aziendale ma, in vettori in origine a controllo pubblico e in seguito comunque fortemente condizionati dalle politiche pubbliche, il merito e la colpa dipendono principalmente dalla differente qualità del governo complessivo di ogni Paese.
La linea di Angela Merkel La parte buona dell’azienda andrà a Lufthansa, sempre più dominante, che quindi dovrà rinunciare a investire in Italia