Facchini, il nuovo fronte della lotta di classe 4.0
La conflittualità del mondo del lavoro negli ultimi anni pare essersi spostata dalle grandi fabbriche ai grandi magazzini, funzionali alla produzione ma ormai esternalizzati. Facchini, autotrasportatori, magazzinieri sono lavoratori sempre più di frequente in agitazione. Un pezzo del mondo del lavoro che non viene narrato perché appartiene a quel cono d’ombra tra la produzione e il consumo. Si tratta dei lavoratori di grandi aziende della logistica, come DHL, Bartolini, TNT, SDA fino ad Amazon. Ma ci sono anche quelli che lavorano per conto delle cooperative appaltatrici del servizio di logistica di aziende e gruppi come il Tuodì, H&M, Ikea, Coca Cola e molti altri.
VENGONO INSABBIATE non sono soltanto le loro condizioni di lavoro, ma anche le proteste contro queste nuove forme di sfruttamento. Il caso dell’operaio ucciso lo scorso settembre a Piacenza durante un picchetto per la stabilizzazione di alcuni lavoratori del magazzino è stato derubricato come incidente stradale da parte della Procura fin dalle prime ore successive all’accaduto. Un incidente, come quello che ha coinvolto gli operai dello stabilimento della Coca Cola a Nogara, aggrediti con taser (arma illegale in Italia) dalla sicurezza privata durante un picchetto di protesta. Una forma feroce di repressione che accompagna la violenza in atto nei luoghi di lavoro di un settore in crescita. Secondo il rapporto Top 100 in European Transport and Logistics Services 2015/2016, tra il 2012 e il 2014, il volume d’affari del settore logistica e trasporti nell’Unione europea è cresciuto del 9,3%, da 878 a 960 miliardi di euro.
Vale il 10% circa del Pil dei Paesi Ue. Per l’Italia circa a ll ’ 8% e coinvolge direttamente più di 400.000 lavoratori.
La crescita si spiega con la nuova centralità della logistica. Da un lato la ristrutturazione dei processi produttivi tende a scorporare e, spesso, esternalizzare alcune funzioni – tra cui la logistica – ri- spetto all’attività principale (la produzione). Dall’altro, l’intensificarsi degli scambi commerciali a livello globale e dell’e-commerce, caratterizzati da distanze geografiche tra i luoghi di produzione da quelli di vendita e consumo. All’aumentare dei profitti segue lo stato di agitazione dei lavoratori coinvolti. Per quanto riguarda l’Italia, nello specifico, la logistica acquista terreno rispetto al settore manifatturiero data l’assenza di una politica industriale che rimetta al centro l’industria e i servizi ad alta intensità tecnologica. Quel che rimane è quindi un’espansione di un settore funzionale alla produzione.
Un filo rosso attraversa le te priva di qualifiche e specializzazioni. È il caso di un magazziniere della Coca Cola in servizio da diciassette anni ed esperto nell’uso di particolari carrelli elevatori. Avrebbe diritto a una qualifica tre livelli superiori a quelli attualmente riconosciuti dall’azienda. Ma nulla gli è stato mai riconosciuto dalle aziende che si sono succedute nella gestione del servizi di magazzinaggio. Al contrario, la strategia è sempre stata quella di aumentare li ritmi di lavoro e riconoscere sempre meno ai lavoratori. Finché questi non hanno iniziato a mobilitarsi. Nel rompere il muro di oppressione e silenzio dentro i magazzini è stato decisivo il ruolo dei sindacati di base, spesso gli unici a lottare a fianco degli gli operai.
DI FRONTE alle crescenti mobilitazioni, l’obiettivo perseguito dalle aziende è stato quello di rafforzare la segmentazione del mondo del lavoro, anche dentro la stessa azienda: da un lato i lavoratori della logistica che protestano e dall’altro quelli della produzione da fidelizzare. Una scena che si è osservata durante le mobilitazioni alla Camposad di Viadana: in un batter d’occhio l’azienda ha radunato in assemblea i lavoratori della produzione, tutti in divisa con le magliette gialle “Io sto con Camposad”. Nessun diritto di replica a chi era in stato di agitazione. Anche alla Coca Cola di Nogara i vertici aziendali decisero di bloccare la produzione e avviare la cassa integrazione per i lavoratori dell’azienda madre con la scusa che gli scioperi dei facchini non permettevano lo svolgimento delle attività produttive.
Questi tentativi non sembrano però ridurre il tasso di conflittualità del settore della logistica. E soprattutto per i lavoratori immigrati il lavoro torna ad essere elemento centrale della propria dignità e possibilità di soddisfare altri bisogni. Le rivendicazioni in atto non trovano alcuna giustificazione in una retorica dell’identità, ma piuttosto in quella di classe, di riscatto collettivo che non ammette l’avanzare delle avanguardie dello sfruttamento.
Gli sfruttati All’aumentare dei profitti nel mondo dell’e-commerce sono arrivate le proteste