1923, quando Piero Gobetti scelse l’intransigenza
me”. Non era vero: la sua è una riforma classista la cui natura il giovane intellettuale coglierà immediatamente.
IL CARTEGGIO, con le sue 579 lettere, fornisce una mappa, geografica, culturale e politica, del lavoro gobettiano, un lavoro incredibilmente ricco, in cui da pari a pari – questo l’altro dato stupefacente – Piero dialoga con una varia gamma di intellettuali, anche se prevalentemente di modesto valore. Il suo è un fervore febbrile, incessante, che finisce per contagiare, assai spesso, gli interlocutori, che passano dallo stupore all’ammirazione, e talora, all’imitazione. Il principale corrispondente è Prezzolini, suo mentore sul piano culturale, mentre tra loro si apre il solco politico, tra chi, come lui, vuole tirarsi fuori della mischia (“ogni giorno di più mi convinco che non mi conviene occuparmi di politica, che mi disgusta”, scrive il 20 dicembre), in una scelta ambigua di “apotismo”, e chi, come Piero, al contrario nella mischia si vuole gettare a corpo morto.
Prezzolini è però il principale “consigliere” cultu- rale; reiteratamente invita il giovane amico a tenere alto il livello delle scelte editoriali e giornalistiche, che, in effetti, non sempre sono tali: del resto la casa editrice è anche un modo per sbarcare il lunario, e col sistema delle prenotazioni ( di copie da parte degli autori), Gobetti cerca di ricavare un reddito, anche se non di rado le cose vanno storte, e il giovane editore ci rimette del suo, invece di trarre profitto.
EPPURE, con tali limiti, nel ’23 escono libri importanti: un titolo per tutti, Nazionalfascismodi Luigi Salvatorelli, che propone una interpretazione originale della nascita e della vittoria mussoliniana, ancora oggi fondamentale. Altri nomi di rilievo vanno ricordati, da Giovanni Amendola a Luigi Sturzo, da Luigi Einaudi a Rodolfo Mondolfo, tra i collaboratori dell’im p r es a giornalistica ed editoriale di Gobetti, il quale, però, sembra ormai prediligere l’azione politica. Il fascismo è una realtà che con amaro realismo egli prevede che “è e sarà per molto tempo padrone”. Lungi dallo scoraggiarlo, questo pensiero gli fa ribadire ( scrivendo a Tommaso Fiore, il 13 novembre) un concetto che gli sarà fatale: “Noi dobbiamo rimaner fedeli alla nostra disperata intransigenza”.