CSM, LA VERA RIFORMA CHE NESSUNO VUOLE
L’attuale Csm è ( finalmente) entrato nel quarto e ultimo anno di attività e nulla lascia intravedere un intervento normativo che elimini o riduca la oramai acclarata degenerazione correntizia e la politicizzazione dell’organo che ha assunto nell’attuale Consiglio dimensioni sempre più allarmanti. Già il precedente Consiglio si era caratterizzato per una vicepresidenza “poli tica ” per essere l’on. Michele Vietti deputato di lungo corso (quattro legislature dal 1994), vicesegretario nazionale dell’Udc, vice-capogruppo alla Camera e, per anni, sottosegretario.
ANCHE L’ATTUALE Csm vede alla sua guida un senatore (del Pd) di vecchia data (già sindaco per oltre 10 anni), sottosegretario di Stato: l’on. Legnini. È stata la prima volta nella storia repubblicana che un membro del governo in carica sia stato eletto nell’organo di autogoverno della magistratura. Unitamente al Legnini è stato eletto anche l’on. Fanfani (sempre del Pd), già deputato e, per circa 8 anni, sindaco di Arezzo. La tendenza appare, quindi, quella di privilegiare – più che la qualità professionale
(di avvocato o professore universitario) – criteri di appartenenza e di affidabilità partitica. Il poco “onorevole” spettacolo di un Parlamento costretto a riunirsi diecine e diecine di volte per nominare i membri laici ne è la prova più eloquente. Accanto alla progressiva politicizzazione dei laici, si pone il persistente processo di immedesimazione dei membri togati con gli interessi della corrente di appartenenza, processo idoneo a portare alla elezione, nella maggior parte dei casi, di magistrati poco conosciuti dall’opinione pubblica ma molto attivi nella vita associativa e nelle segreterie delle correnti. Questo sistema dà spesso adito al sospetto che molte decisioni adottate dal Plenum siano frutto di valutazioni basate su criteri non proprio oggettivi, tant’è che un numero davvero rilevante di esse, (in particolare quelle sugli incarichi direttivi e semidirettivi) viene sistematicamente annullato dai giudici amministrativi, (con pervicace tendenza del Csm a riconfermare i provvedimenti annullati). Ed è sempre conseguente a un siffatto sistema che decisioni che riguardano magistrati con incarichi, per così dire, “politici” suscitino dubbi e aspre polemiche. Tale è il caso del procuratore della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi – già consulente giuridico presso la presidenza del Consiglio – avendo il Plenum “edulcorato” una relazione della 1^ Commissione piuttosto critica nei confronti del Rossi circa la gestione dell’inchiesta da lui condotta su Banca Etruria e che coinvolgeva il padre della ministra Boschi. Ciò ha determinato l’increscioso episodio del ritiro da parte del presidente della commissione Balduzzi e del relatore Morosini della loro firma in calce alla relazione. Né, a distanza di oltre un anno, l’opinione pubblica ha avuto modo di conoscere che fine abbiano fatto gli atti che, comunque, il Csm era stato costretto a inviare al Pg della Cassazione: sull’esercizio dell’azione disciplinare è, da allora, sceso un assordante silenzio. Ha dato origine a polemiche anche la nomina del nuovo procuratore della Repubblica di Napoli, incarico per il quale il Csm ha preferito Giovanni Melillo, per alcuni anni capo-gabinetto del ministro di Giustizia, ad altro magistrato che, in quegli stessi anni, svolgeva funzioni giurisdizionali ed era già titolare dell’ufficio direttivo della Procura di Reggio Calabria. Determinanti sono stati i voti di 6 membri laici, (si sono astenuti Legnini e Zaccaria), e del 1° Presidente e del Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Canzio e Pasquale Ciccola, i quali si trovano ancora ai vertici della magistratura giudicante e requirente nonché del Csm grazie a un provvedimento governativo (poi ratificato dal Parlamento), di proroga in servizio, privilegio che rimarrà impresso, ad imperitura memoria, nella storia della magistratura italiana.
QUESTA SITUAZIONE imporrebbe urgenti, drastiche soluzioni: estrazione a sorte dei togati; divieto di eleggere laici che hanno ricoperto cariche politiche; esclusione dal Csm del 1° Presidente e del Pg che, in ragione delle loro funzioni, cumulano un potere enorme incompatibile, o, quanto meno, gravemente inopportuno, con la loro presenza ai vertici del Csm; divieto assoluto per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari. Ma nulla di tutto ciò è previsto nei lavori delle due commissioni (una di forma dell’ordinamento giudiziario l’altra di riforma del Csm), nominate dal ministro Orlando e composte, per la maggioranza, proprio da chi sarebbe stato forse opportuno non ne facesse parte e, cioè, gli ex componenti togati e laici del Csm; e chi, se non il politico on. Vietti – già all’epoca promotore della legge che depenalizzò il falso in bilancio, sostenitore del “legittimo sospetto” e, soprattutto, detentore, tra i laici, del record di permanenza al Csm (8 anni) – poteva assumere la presidenza di una delle due commissioni di riforma?