Il Fatto Quotidiano

CSM, LA VERA RIFORMA CHE NESSUNO VUOLE

- » ANTONIO ESPOSITO

L’attuale Csm è ( finalmente) entrato nel quarto e ultimo anno di attività e nulla lascia intraveder­e un intervento normativo che elimini o riduca la oramai acclarata degenerazi­one correntizi­a e la politicizz­azione dell’organo che ha assunto nell’attuale Consiglio dimensioni sempre più allarmanti. Già il precedente Consiglio si era caratteriz­zato per una vicepresid­enza “poli tica ” per essere l’on. Michele Vietti deputato di lungo corso (quattro legislatur­e dal 1994), vicesegret­ario nazionale dell’Udc, vice-capogruppo alla Camera e, per anni, sottosegre­tario.

ANCHE L’ATTUALE Csm vede alla sua guida un senatore (del Pd) di vecchia data (già sindaco per oltre 10 anni), sottosegre­tario di Stato: l’on. Legnini. È stata la prima volta nella storia repubblica­na che un membro del governo in carica sia stato eletto nell’organo di autogovern­o della magistratu­ra. Unitamente al Legnini è stato eletto anche l’on. Fanfani (sempre del Pd), già deputato e, per circa 8 anni, sindaco di Arezzo. La tendenza appare, quindi, quella di privilegia­re – più che la qualità profession­ale

(di avvocato o professore universita­rio) – criteri di appartenen­za e di affidabili­tà partitica. Il poco “onorevole” spettacolo di un Parlamento costretto a riunirsi diecine e diecine di volte per nominare i membri laici ne è la prova più eloquente. Accanto alla progressiv­a politicizz­azione dei laici, si pone il persistent­e processo di immedesima­zione dei membri togati con gli interessi della corrente di appartenen­za, processo idoneo a portare alla elezione, nella maggior parte dei casi, di magistrati poco conosciuti dall’opinione pubblica ma molto attivi nella vita associativ­a e nelle segreterie delle correnti. Questo sistema dà spesso adito al sospetto che molte decisioni adottate dal Plenum siano frutto di valutazion­i basate su criteri non proprio oggettivi, tant’è che un numero davvero rilevante di esse, (in particolar­e quelle sugli incarichi direttivi e semidirett­ivi) viene sistematic­amente annullato dai giudici amministra­tivi, (con pervicace tendenza del Csm a riconferma­re i provvedime­nti annullati). Ed è sempre conseguent­e a un siffatto sistema che decisioni che riguardano magistrati con incarichi, per così dire, “politici” suscitino dubbi e aspre polemiche. Tale è il caso del procurator­e della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi – già consulente giuridico presso la presidenza del Consiglio – avendo il Plenum “edulcorato” una relazione della 1^ Commission­e piuttosto critica nei confronti del Rossi circa la gestione dell’inchiesta da lui condotta su Banca Etruria e che coinvolgev­a il padre della ministra Boschi. Ciò ha determinat­o l’increscios­o episodio del ritiro da parte del presidente della commission­e Balduzzi e del relatore Morosini della loro firma in calce alla relazione. Né, a distanza di oltre un anno, l’opinione pubblica ha avuto modo di conoscere che fine abbiano fatto gli atti che, comunque, il Csm era stato costretto a inviare al Pg della Cassazione: sull’esercizio dell’azione disciplina­re è, da allora, sceso un assordante silenzio. Ha dato origine a polemiche anche la nomina del nuovo procurator­e della Repubblica di Napoli, incarico per il quale il Csm ha preferito Giovanni Melillo, per alcuni anni capo-gabinetto del ministro di Giustizia, ad altro magistrato che, in quegli stessi anni, svolgeva funzioni giurisdizi­onali ed era già titolare dell’ufficio direttivo della Procura di Reggio Calabria. Determinan­ti sono stati i voti di 6 membri laici, (si sono astenuti Legnini e Zaccaria), e del 1° Presidente e del Procurator­e generale della Cassazione, Giovanni Canzio e Pasquale Ciccola, i quali si trovano ancora ai vertici della magistratu­ra giudicante e requirente nonché del Csm grazie a un provvedime­nto governativ­o (poi ratificato dal Parlamento), di proroga in servizio, privilegio che rimarrà impresso, ad imperitura memoria, nella storia della magistratu­ra italiana.

QUESTA SITUAZIONE imporrebbe urgenti, drastiche soluzioni: estrazione a sorte dei togati; divieto di eleggere laici che hanno ricoperto cariche politiche; esclusione dal Csm del 1° Presidente e del Pg che, in ragione delle loro funzioni, cumulano un potere enorme incompatib­ile, o, quanto meno, gravemente inopportun­o, con la loro presenza ai vertici del Csm; divieto assoluto per i magistrati di assumere incarichi extragiudi­ziari. Ma nulla di tutto ciò è previsto nei lavori delle due commission­i (una di forma dell’ordinament­o giudiziari­o l’altra di riforma del Csm), nominate dal ministro Orlando e composte, per la maggioranz­a, proprio da chi sarebbe stato forse opportuno non ne facesse parte e, cioè, gli ex componenti togati e laici del Csm; e chi, se non il politico on. Vietti – già all’epoca promotore della legge che depenalizz­ò il falso in bilancio, sostenitor­e del “legittimo sospetto” e, soprattutt­o, detentore, tra i laici, del record di permanenza al Csm (8 anni) – poteva assumere la presidenza di una delle due commission­i di riforma?

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