Taxi, contanti e montoni: sopravvivere all’Uzbekistan
Vacanze alternativeL’illusione dell’efficienza sull’aereo, poi i controlli ossessivi, le moschee storte e montagne di banconote senza valore
Se l’anno prossimo doveste fare fatica a trovare un posto bici terrazzato a Gallipoli in cui soggiornare con la suocera e una famiglia di dodici persone, vi suggerisco di visitare il misterioso e affascinante Uzbekistan in cui mi trovo da nove giorni. Tuttavia, prima di partire, è bene che sappiate alcune cose fondamentali, onde evitare di chiedere alla Farnesina di mandarvi un aereo di Stato per riportarvi a Gallipoli.
AEREI E AEROPORTO. La compagnia aerea uzbeka sembra efficiente, aerei belli, nuovi e discreta puntualità. L’unico problema è che all’interno regna l’anarchia. In fase di atterraggio, nessuno spegne i dispositivi elettronici, nessuno chiude i tavolini, nessuno tira su i sedili, nessuno sta seduto al suo posto. Se durante la discesa si aprisse la porta della cabina di pilotaggio e si vedesse il pilota che balla Despacito con uno steward kazako nessuno si stupirebbe. Quando atterri a Tashkent, la capitale, capisci che in aereo non c’era anarchia, ma gli ultimi aneliti di libertà. Una volta atterrati noi passeggeri siamo finiti sequestrati in un corridoio sul fondo del quale c’era una porta a vetri chiusa. Noi vedevamo l’aeroporto, i controlli, i nastri, le nostre valigie, ma nessuno ci apriva. Ero la prima della fila e per un attimo ho temuto di essere utilizzata come testa d'ariete per sfondare la porta. Dopo 40 minuti un serafico poliziotto uzbeko ci ha aperto e siamo passati ai controlli. Ho visto gente costretta ad aprire conserve di pomodoro per dimostrare che quelli sul fondo fossero pelati e non mine a frammentazione. Gli addetti alla sicurezza uzbeka inoltre sono gli unici al mondo a controllare con serietà se somigli alla tua foto sul passaporto. Il mio colore dei capelli più scuri nella foto ha fatto sì che i miei tratti somatici siano stati scannerizzati che manco la faccia di Gesù sul telo della sacra sindone. TAXI. In Uzbekistan la licenza taxi funziona più o meno così: se hai una macchina sei un tassista. Chiunque, per poco più di un euro, ti porta dove vuoi, dal miglior ristorante della città al confine con il Turkmenistan. Le peculiarità dei tassisti sono due: 1) viaggiano sempre accompagnati da qualcuno, che può essere un amico, un figlio di sei anni, un’anziana signora o un tizio che pare uscito dalle patrie galere mezzora prima, il quale al primo incrocio apre il cruscotto e tira fuori mazzette di denaro locale con cui vuole cambiarti i dollari con un cambio vantaggiosissimo: tu gli dai 100 dollari e lui ti dà la foto segnaletica di un suo ex compagno di cella russo sopravvissuto ai campi di lavoro in Siberia e qualsiasi forma di protesta ti muore in gola. 2) appena capiscono che sei italiano ti mettono il The best of di Albano e Romina e siccome parlano solo russo, tu continui a dire “Albano mi fa cagare!”, loro capiscono “Ancora ancora!” e passano a Un italiano vero di Toto Cutugno.
TAMERLANO. Tutto quello che esisteva in Uzbekistan prima di Tamerlano è stato raso al suolo dal famigerato Gengis Khan. Ora, questo Gengis Khan era un vero stronzo, nessuno lo mette in dubbio, però a vedere quelli che loro chiamano “reperti archeologici delle città” prima della sua follia distruttrice e che in realtà sono quattro mattoni consumati dal vento, viene da pensare che un Gengis Khan nei quartieri abusivi di mezza Italia, non sarebbe poi così male.
ARCHITETTURA. C’è una cosa che accomuna tutte le moschee, le madrasse, i mausolei dell'Uzbekistan: non la facciata blu o il fatto che molte siano restaurate da gente che ha studiato conservazione dei beni culturali sui video di Art Attack o la presenza di mercanti che ti stanno addosso come i paparazzi al culo della Boschi in spiaggia. La cosa che tutte hanno in comune è che sono storte. Facciate stor- te. Minareti storti. Piastrelle storte. Perfino porte storte attaccate storte, non in modo da compensare la stortezza bensì da risultare ancora più storte. Intendiamoci, sono di una bellezza mozzafiato, tuttavia alcune ti danno l’impressione che siano lì lì per crollare, ma questo pare non interessare a nessuno, tantomeno ai suddetti mercanti che ci trascorrono dentro la vita senza timore di fare la famosa fine del topo uzbeko.
Tutto ciò, comunque, ti permette di sapere con esattezza, nonostante l'enorme traffico umano che ha attraversato l’Uzbekistan lungo la millenaria via della seta, chi non è mai passato di qui: Melchisedech Thevenot, l’inventore della livella. E ti viene il dubbio che Gengis Khan abbia raso al suolo l'intero Paese non perché fosse un barbaro, ma in quanto ossessivo-compulsivo con la fobia dei quadri storti.
LA VALUTA.
La moneta uzbeka si chiama Sum e vale più o meno quanto l'incarto delle Big Babol. Quando il receptionist del primo albergo ti suggerisce di cambiare i dollari “al mercato” per una migliore conversione, ti senti il fiato
della legge sul collo. Ecco, trascorrerò il resto dei miei giorni in una prigione uzbeka, con il secondino fan dei Ricchi e Poveri che ascolta Mamma
Maria a palla. In realtà appena ti avvicini a una zona commerciale, che sia una tenda di cetrioli o il retro di una farmacia, sei accolto da “change dol
lar change dollar!” urlato con la violenza della curva della Puteolana nel derby con il Rione Terra. Decidi di cambiare cento dollari. “Avete uno zaino?” chiede l’autista. “No, cosa ce ne facc...”. La risposta è interrotta alla vista della quantità di banconote necessarie. 100 dollari valgono quasi un milione di sum, con pochissime banconote da 10.000 e moltissime da 1.000. Sono talmente tanti soldi che te li danno nel sacco nero, facendoti sembrare uno che ha appena incassato il riscatto per la figlia di Putin.
LA CUCINA. Se il vostro peggior timore, nella vita, è di far la fine del protagonista de Il
giorno della marmotta, il cibo uzbeko non fa per voi. Il menu dei ristoranti, allettante fino al secondo giorno, è un raffinato meccanismo di specchietti per le allodole volto a nascondere il vero numero di pietanze ordinabili: 5. Vuoi l'insalata di zucca? Finita, oggi c'è il Plov. Involtini di melanzane? Idem, ma c'è il Plov.
Il Plovè il piatto nazionale uzbeko, riso con carote gialle e carne di montone, e nonostante si nutrano di questo, quasi esclusivamente, dalla notte dei tempi, riesce incredibilmente a far cagare più del 70% delle volte.
Non fatevi illudere dai mucchietti di spezie nel mercato: sono lì per farti pensare che quello di cui ti nutrirai per il resto del tuo viaggio sarà condito. Niet, italiansky. Riso bollito e un pezzetto di montone rinsecchito ogni 21 forchettate. Oppure spiedini di montone, ravioli di montone, insalata verde? No, con montone. Alla luce di ciò capisci perché il non, il pane uzbeko, sia decorato come fosse una gigantesca moneta: un cibo senza montone, qui, vale più di una pepita d’oro. Io, se torno in Uzbekistan, mi porto le barrette alimentari degli astronauti. Saranno monotone anche quelle, ma almeno mi risparmieranno la visita nel sito più frequentato dai turisti stranieri dal secondo giorno in poi in questo magnifico Paese: la toilette.
LA VALUTA LOCALE
Quando chiedi di cambiare 100 dollari ti danno tanti Sum che sembri uno che ha appena incassato un riscatto
LA SCELTA TRA PLOV E PLOV
Il menu dei ristoranti è allettante fino al secondo giorno, poi capisci che i piatti ordinabili sono solo 5