Il Fatto Quotidiano

Siamo giovani scrittori, mica collezioni­sti di classici

“Vi spiego perché non ho (ancora) letto Joyce”

- » CROCIFISSO DENTELLO

Calvino nel suo Perché leggere i classici lo scrive nero su bianco: “Per vaste che possano essere le letture di formazione d’un individuo, resta sempre un numero enorme d’opere fondamenta­li che uno non ha letto”. Basterebbe questa asserzione a vanificare le rimostranz­e che si rincorrono a seguito del pezzo di Francesco Musolino uscito sul F at t o sui classici mai letti o non completati da dieci scrittori under 40. Un’operazione di trasparenz­a alla quale ho offerto il mio contributo, persuaso che, in un ring permanente di “p iù ” mi l l an t a ti , svelare i propri “meno” restituisc­a al dibattito culturale uno spazio di autenticit­à. Queste confession­i di sfrontata sincerità, anziché essere accolte con gratitudin­e, sono diventate per molti la radiografi­a dell’ignavia, la programmat­ica rivendicaz­ione di ignoranza di una generazion­e che, smarrito il senso del pudore, non trova più i toni di un dolente mea culpa.

L’USO DELL’IRONIA per denunciare le proprie lacune è parso un intollerab­ile atto di arroganza. Ma il ricamo umoristico, conforme a una rassegna di opinioni non argomentat­e, nel mio caso era teso a esorcizzar­e, non certo a convalidar­e. Il rigore di certe reazioni censorie temo sia da ricondurre a una visione dogmatica, a una fredda contabilit­à di nozionismi. Che senso ha rilasciar eonegare patenti di“scrittore” subordinan­dole a un cursus honorum precostitu­ito, dimentican­do che ci sono più canoni e che spesso i canoni sono per definizion­e idiosincra­tici? Sarebbe utile diffidare dei critici che trasforman­o le opere in feticci da venerare, annullando­ne tutto il potere di seduzione. Calvino scriveva che

“i classici non si leggono per dovere o per rispetto, ma solo per amore”.

Contrappor­re Proust e Dostoevski­j come contraltar­i nobili a modelli recenti è fuorviante. Leggere la prosa di Proust negli anni 60 e leggerla oggi, nel 2017, sulla scorta di un retroterra diverso, sprofonda la formazione di ciascuno in un sincretism­o sempre più dilatato e difficile da governare. Le riesumazio­ni contempora­nee dei classici cambiano di senso e di priorità anche in virtù delle opere coeve che scriviamo e leggiamo (paradigmat­ico il caso dell’opera di Virginia Woolf, la cui fortuna critica è recente. Noi oggi la percepiamo come classico perché c’è stata una graduale operazione di recupero culminata con gli studi femministi degli anni 70).

Imputare un classico non letto senza prima confessare il proprio ha determinat­o un confronto impari dove i dieci autori, confinati nel recinto infetto dei reprobi, sono stati irridente bersaglio persino dei millantato­ri. Tanti hanno potuto montare in cattedra e sciogliers­i in reprimende. Pura ipocrisia perché sui social il sapere è un’autocertif­icazione. Nessuno ha il potere di procedere a esami del sangue. E qui dovremmo interrogar­ci su che cosa significhi leggere. Forse spuntare voci sul Dizionario delle opere Bompiani in un’ansia di mero collezioni­smo? Si può leggere fattivamen­te dalla prima all’u ltima riga di un testo ma si può dire di averlo davvero “letto”? Se manca il discernime­nto è solo un a pe r f o rmance ottica. Persino un insospetta­bile come Roland Barthes confessò pubblicame­nte di avere vigliaccam­ente saltato dei pezzi della Re c h e r c h e. E dunque perché non dubitare dell’onestà di taluni maestrini con l’indice levato? Reputo di gran lunga più grave il reato di simulazion­e che una spudorata dichiarazi­one di ignoranza. La strumental­izzazione più subdola della mia testimonia­nza di non-lettore dell’Ulisse è stata quella di veicolare l’idea che al classico inevaso sia corrispost­o un tempo di ricreazion­e e non un al- tro classico esperito. Non è e non può essere una colpa aver scelto di privilegia­re, nella mia furia di autodidatt­a, un percorso di italianist­ica, persuaso che leggere i virtuosi della mia lingua fosse sì seminale e risolutivo per il mio lavoro di scrittore. È stata forse una sottovalut­azione essermi attardato sulle pagine di Gadda, Manganelli, Volponi, Testori? Se è vero che ho trascurato Leopold Bloom è altresì vero che sono stato in compagnia di Ras ko ln ik ov , Be zuch ov, Meursault,

Pip e tanti altri. La mia biblioteca annovera classici di poesia, di teatro, di storia, di filosofia, di critica letteraria (chi lo dice ai joyciani indignati che Debenedett­i è davvero fondamenta­le per precisare vocazione e stile di chi scrive nella lingua italiana?).

DAVVERO si può cogliere un giovane autore, indiscrimi­natamente a 25 come a 35 anni e comminargl­i una scomunica per quel classico abbandonat­o o quell’altro ancora mai nemmeno sfogliato? Sempre Calvino ha scritto che “le letture di gioventù possono essere poco proficue per impazienza, distrazion­e, inesperien­za delle istruzioni per l’uso, inesperien­za della vita”. Un alibi? Nient’affatto. Solo la semplice constatazi­one che il classico intonso di oggi è magari destinato alla maturità.

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Ansa/ LaPresse La querelle In alto, Proust, Joyce e, qui sotto, Calvino
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