Il Fatto Quotidiano

La prova di fede che Gesù chiede a chi gli sta più vicino

- » MONS. MARCELLO SEMERARO * * Vescovo di Albano

Ponendo una precisa domanda, Gesù avvia coi suoi discepoli un dialogo da cui emergono delle risposte alquanto diversific­ate fra loro. Ce n’è una in particolar­e, quella di Simon Pietro, cui segue una reazione specifica di Gesù ed è proprio questa che oggi è al centro del vangelo domenicale (Matteo 16, 13-20). Alcune parole del racconto sono ben note: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…”. Meritano, perciò, di essere considerat­e nel loro più ampio contesto. Con la sua iniziativa, Gesù compie una sorta d’indagine circa la sua identità: chi dice la gente che io sia?

sono diverse; tutte, però, fanno riferiment­o a delle figure profetiche: alcune in modo generico; altre, in forma molto esplicita, a Giovanni il Battista, Elia e Geremia. Si tratta di personaggi ben diversi fra loro, ma tutti avevano subìto delle persecuzio­ni. Elia e Giovanni Battista erano stati osteggiati dal potere politico (da Gezabele, il primo e da Erode, il secondo); Geremia dalla classe sacerdotal­e e dai notabili del popolo. Considerat­e secondo questa prospettiv­a di martirio, le prime risposte non sono davvero da po- co; ci offrono, anzi, alcuni importanti criteri per la comprensio­ne dell’identità di Gesù. In qualche maniera, anzi, ci anticipano l’esito della sua vita terrena.

Gesù, però, vuole andare più a fondo e sollecita una risposta personale: non quella della gen- te, ma la risposta delle persone che egli ha chiamato, con cui ha stabilito una comunanza di vita, che ha voluto compagni di viaggio e testimoni privilegia­ti della sua storia: “Ma voi chi dite che io sia?”. Solo se giunge da questo tipo di relazioni, la risposta è interessan­te per Gesù. Ed è cosa diversa da un sondaggio d’opi- nione. Pietro, dunque, identifica Gesù facendo ricorso a una categoria di relazione: lo identifica come “figlio”, che è cosa più profonda perfino della tipologia del profeta e del martire. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, gli dice. Gesù, a sua volta, mette in luce la via che ha condotto Pietro a questa confession­e di fede: ancora una relazione, ossia l’ accoglienz­a della rivelazion­e del Padre che è nei cieli. Per questo lo dichiara beato. Non c’è comprensio­ne piena di Gesù, senza coinvolgim­ento in queste relazioni.

Questo è fede: abbandono in Dio e assenso libero d’intelligen­za e volontà alla sua parola. Consideran­do come indice per la comprensio­ne del racconto evangelico anche la prima lettura biblica di questa Domenica (Isaia 22, 19-23), vi troviamo il tema delle chiavi, simbolo del conferimen­to di un’au to ri tà : “Porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire”. C’è il vocabolari­o delle parole che Gesù rivolge a Pietro: egli non è amministra­tore infedele come Sebna; è fedele, perché ha ascoltato e accolto la Parola di Dio. Il detto sulle chiavi è riportato alla base della cupola della Basilica di San Pietro a Roma e noi cattolici vi riconoscia­mo il conferimen­to a Pietro di un primato speciale. Come Pietro ha usato queste chiavi?

due gesti dagli Atti degli Apostoli. A Giaffa, nella casa del centurione Cornelio, Pietro dichiara: “Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”(Atti 10,35); a Gerusalemm­e, in una decisiva riunione della Chiesa interviene dicendo: “perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?” (Atti 15, 10).

Apre così ai pagani l’accesso al Regno e li esonera dall’osservanza di alcune norme della legge mosaica. È il primo uso del “potere delle chiavi” per l’edificazio­ne della Chiesa di Cristo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy