Il Fatto Quotidiano

“Paolo Villaggio, io e il Prodotto Interno Lardo”

Lino Banfi racconta Villaggio

- » MARIO SESTI

“Caro Paolo, con te mi sono trovato sempre bene, anche perché forse non te l’ho mai detto ma noi siamo i più patriottic­i attori d’Italia: entrambi abbiamo questo problema dei molti punti di Pil in più degli altri attori italiani - Pil nel senso di Prodotto interno lardo, per il quale noi abbondiamo anche adesso da vecchi”: Lino Banfi guarda dentro l’o bi et ti vo della videocamer­a digitale, siamo a casa sua, siamo nel suo studio, tra decine di locandine, premi luccicanti e foto con Papa Francesco, stiamo registrand­o una intervista per il film La voce di Fantozzi.

Siamo nel febbraio del 2017 e Paolo Villaggio è ancora vivo.

I due si conoscono da una vita, hanno fatto poco meno di dieci film assieme ( da Fracchia la belva umana a I pompieri ) e Banfi, come se ce l’avesse davanti, non ce la fa proprio a parlare di Villaggio senza rivolgergl­isi direttamen­te, guardando dentro l’obiettivo.

Eppure, da un punto di vista tecnico siete molto diversi: Villaggio ha lavorato da sempre sulla fissità della maschera, lei è sempre stato una inarrestab­ile invenzione mimica, dialettale, psicomotor­ia.

Non solo. Lui piaceva a un certo tipo di élite, quelli che se la mattina non comprano L’Unità e Il manifesto non sono felici e se vedono uno con il Corriere dello Sport lo guardano pure male. Io, quando ci siamo incontrati, venivo già da film socio- cultureli diciamo così, con la Fenech, la Cassini, il lato B più famoso d’Europa, avevo iniziato come bidello, ero diventato insegnante, mi mancava di fare il preside. Insomma, avevo già dietro di me una bella carriera. Navigavate in mondi diversi.

Invece il connubio fu felicissim­o, stupendo. Paolo ha quattro anni più di me e quindi l’ho sempre trattato come uno più grande. Anche se me ne combinava di tutti i colori. Ricorderò sempre, per tutta la vita, un film che abbiamo fatto insieme con la regia di Flavio Mogherini, Come è dura l’avventura. Quel film io non avrei potuto farlo perché conducevo Domenica In, Paolo pure era impegnatis­simo, aveva tante cose da fare. La cosa curiosa è che sia io che Paolo avevamo la stessa controfigu­ra nelle scene pericolose, Clemente Ukmar. Il problema era: come si faceva quando eravamo insieme nella stessa scena e lui doveva sostituire entrambi? Miracoli del montaggio. Ukmar, peraltro, quando faceva i film con me da solo, aveva già il parrucchin­o che aveva fatto Rocchetti con la testa mia pelata (Manlio Rocchetti, grande make up artist italiano, premio Oscar per A spasso con Daisy, ndr). Se la metteva, si metteva la pancia finta e a seconda di chi era ingrassato di più in quel periodo, io o Paolo, si faceva aumentare la pancia o diminuire di qualche chilo.

Facevate una dieta?

Con Paolo, come fai? Io poi vado matto per i crostacei, sono ittico-dipendente. Ma anche lui: facevamo abbuffate di queste cose. Una volta proprio sul set di Com’è dura l’avventura, questo te lo devi ricordare Paolo – dice guardando ancora nell’obiettivo – mi hai portato alle sei del mattino a mangiare il cuscus con il pesce, per strada, da una fetente vecchia signora che ci ha servito con tutti i gatti sotto che m i ag ol a v an o . Io un po’ mi schifavo e tu mi dicevi ‘mangia, perché questo è buonissimo, mangi a’. Io, sempre per questo rispetto dei quattro anni in più, l’ho mangiato. Vabbè, mi hai fregato, poi mi sono sentito malissimo allo stomaco. Non mi sembra il momento di entrare in dettagli. In ogni caso, ho un ricordo molto bello dei film fatti con lui. Ci intendevam­o a meraviglia, eravamo due grandi virtuosi delle pause, per esempio.

Le pause?

I più bravi di tutti. Sono fondamenta­li nella comicità. Molto più del fisico obeso o della battuta spiritosa. Noi avevamo le stesse pause, gli stessi tempi: ci guardavamo ed era come se avessimo provato prima la scena – Banfi muove fulmineo la testa di lato e guarda ancora dentro l’obiettivo: parla come se si rivolgesse direttamen­te al pubblico, in teatro –. Se c’è qualcuno che dovrebbe ricevere delle lauree honoris pausa siamo noi, è vero Paolo?

Non avete avuto mai problemi, conflitti, incompatib­ilità?

Se oggi dovessi dire una cosa a lui direi: ‘Non mi dare appuntamen­ti perché a te non ci credo’. Io sono il contrario di Paolo, io se un appuntamen­to è alle otto rompo le palle ai miei figli e ai miei ni- poti per arrivare mezz’ora prima, perché sono fatto così. È più forte di me. Poi quando arrivo lì mi incazzo se non arriva questo signore che magari arriva pure in ritardo e quando arriva mi dice: ‘È molto che aspetti?’. Io sono incazzato da morire, vorrei spezzargli la noce del collo, invece dico ‘No no, sono arrivato due minuti fa’. Quindi, io, sono fatto così. Paolo, invece: l’ap pu n t amento è alle 8? È già tanto se viene quella stessa sera, perché è probabile che venga il giorno dopo. Quindi, caro Paolo, io appuntamen­ti con te, no. Però, come attore, quando vuoi. Intervista realizzata per il film “La voce di Fantozzi”, regia di Mario Sesti, prodotto da Daniele Liburdi e Massimo Mescia, presentato in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia

Attori patriottic­i Entrambi abbiamo questo problema dei molti punti di Pil: Prodotto interno lardo Avevamo la stessa controfigu­ra, Clemente Ukmar Come fare quando eravamo insieme nella stessa scena?

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Il film “La voce di Fantozzi” (regia di Mario Sesti) sarà proiettato il 2 settembre alle 17.15 in Sala Volpi
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