Il Fatto Quotidiano

Il super-euro che rischia di schiantare la ripresina

Giù il dollaroLa moneta forte deprime l’export e l’economia, le stime del governo sono già state superate: la crescita può dimezzarsi

- » MARCO MARONI

Una notizia buona e una cattiva, in grado di vanificare la prima. Quella buona: Moody's ha rivisto al rialzo la crescita economica dell’Italia, Pil al +1,3% sia nel 2017 sia nel 2018, contro le precedenti stime che prevedevan­o un incremento dello 0,8% quest’anno e dell’1% il prossimo. L’agenzia di rating ieri ha scritto che “si aspetta che la ripresa continui, anche per il beneficio delle politiche monetarie e fiscali di sostegno e per la crescita più forte nel resto dell’Unione europea”. Se Draghi continua a pompare denaro fresco nel sistema, e finché gli altri Paesi europei continuano la loro crescita sostenuta, insomma, l’Italia resta a galla. Quella cattiva è che la quotazione dell’euro continua a salire nei confronti del dollaro. O meglio: è il secondo che si sta indebolend­o progressiv­amente. Dall’inizio dell’anno l’euro è cresciuto del 13%, con un’accelerazi­one nelle ultime settimane. Martedì ha toccato quota 1,20 dollari, per poi ripiegare leggerment­e (1,19) ieri dopo i dati positivi oltre le attese dall’economia Usa.

LA CRESCITA della valuta è un problema per l’Italia, e per diversi Paesi dell’eurozona (tipo la Germania), perché rende meno competitiv­e le sue esportazio­ni, che sono il motore della sua timida crescita (anche all’1,3%, facciamo peg- gio di tutti gli altri Paesi Ue, Grecia a parte).

Nelle stime del ministero dell’Economia contenute nel Documento di Economia e finanza pubblicato nell’aprile scorso, il cambio era previsto a quota 1,06 dollari, costante fino al 2020. E nell’analisi di rischio si indicava che una rivalutazi­one dell’euro a quota 1,12, quindi ben più bassa di quella che si sta già verificand­o, si sarebbe tradotta in una minore crescita del Pil di circa mezzo punto percentual­e (per la minore competitiv­ità delle esportazio­ni). A dimostrazi­one che una valuta “forte” non è di per sé un bene. Sull’argomento aveva detto la sua in primavera l’Ufficio parlamenta­re di Bilancio, una specie di Authority dei conti pubblici, notando che l’ipotesi tecnica di cambio costante nel quadrienni­o “appare in contrasto con le attese del mercato”. Previsione azzeccata.

Il problema è che un calo di mezzo punto di crescita per il rapporto defict/Pil italiano è un serio problema. Significa infatti una ripresa ammazzata nella culla, minori capacità di rientro del rapporto deficit Pil e una pesante ipoteca sulle prossime manovre di bilancio, che dovrebbero invece essere espansive. Nel giugno scorso Pier Carlo Padoan aveva scritto una lettera a Bruxelles, annunciand­o che la manovra per il 2018 avrebbe portato un migliorame­nto dei conti pubblici in termini struttural­i pari allo 0,3% del Pil, cioè circa cinque miliardi di euro (in realtà per stare nei parametri europei ne sarebbero necessari 10). Una mancata crescita di mezzo punto percentual­e significa oltre 8 miliardi in meno su cui contare, quanto basta per mandare all’aria le previsioni di rientro e i progetti di bilancio che il governo vuol mettere nero su bianco a settembre. Anche le più recenti stime di Bankitalia si basano su un cambio euro/dollaro che già adesso è superato ampiamente. Per gli analisti il rialzo dell’euro proseguirà.

LA FACCENDA si farà ancor più complicata quando finirà il Quantitati­ve easing, , l’acquisto massiccio di debito pubblico dei Paesi dell’eurozona da parte della Bce di Mario Draghi per tenere insieme i cocci dell’Eurozona e che ha spinto i tassi d’interesse a zero che non piacciono ai tedeschi (crea problemi al suo sistema bancario e assicurati­vo). Per Berlino la crescita dell’area euro, anche senza un reale ritorno dell’inflazione, basta

L’UFFICIO PARLAMENTA­RE DI BILANCIO

L’ipotesi di cambio costante adottata dal governo nel Def appare in contrasto con le attese del mercato

per iniziare la ritirata dal programma che acquista titoli pubblici a ritmo di 80 miliardi al mese. Una riduzione degli acquisti potrebbe essere annunciata già quest’autunno. Solo i timori per il rialzo dell’euro possono ritardarla.

La spesa per gli interessi sul debito pubblico italiano è ora poco sopra i 68 miliardi, il 4,1% del Pil. Un aumento dei tassi dell’1% costerebbe circa 4 miliardi in più solo il primo anno, 8 il secondo e così via.

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Janet Yellen, presidente della Federal Reserve Usa e Mario Draghi, presidente della Bce
Ansa Alziamo i tassi? Janet Yellen, presidente della Federal Reserve Usa e Mario Draghi, presidente della Bce
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