ABUSIVISMO, LE RIFORME IMPOSSIBILI DI CANTONE
Il sisma che ha colpito nei giorni scorsi l’incantevole isola di Ischia, martoriata da un selvaggio abusivismo iniziato nei primi anni 70, ha provocato accesi dibattiti su come fermare l’abusivismo stesso e sulle possibili incidenze di esso sui terremoti. Sul primo punto è intervenuto Raffaele Cantone – che da quando è presidente dell’Anac esterna a tutto campo – il quale, in un’intervista a Repubblica (25.8), ha dettato “una riforma di sistema per fermare l’abusivismo”. L’ex pm della Procura di Napoli ha, dapprima, ricordato come l’abusivismo edilizio avesse causato uno “sviluppo urbanistico disordinato e sconsiderato”, sostanzialmente distruttivo della “sua terra” (Giugliano, paese, come egli stesso rileva, “ad alta densità camorristica”). Poi, l’ex pm ha bacchettato la “vorace camorra”, “un pezzo di imprenditoria collusa”, “la politica locale che non ha pianificato” e quella “nazionale che ha sfornato leggi criminali e criminogene (come i condon i )”, e “persino una magistratura con picchi di grande impegno ma anche di poco comprensibili distrazioni”. Quindi, è passato a illustrare la sua proposta di riforma: “S ar e b be , invece, utile pensare a una definizione definitiva del problema per predisporre un piano straordinario che, coinvolgendo anche le realtà locali, ridisegni con chiarezza la geografia urbanistica dei territori; verifichi la recuperabilità di quegli immobili che sono inseriti in contesti ormai urbanizzati, prevedendo in parte l’acquisizione degli stessi al patrimonio pubblico, in parte la possibilità per quelli più modesti di riacquisto da parte dei costruttori, previo pagamento di oneri che consentano di fornire servizi adeguati e l’abbattimento, senza alcuna remora, da parte del genio militare di quelli costruiti in zone vincolate o su terreni demaniali”.
SI TRATTA di una proposta sostanzialmente irrealizzabile. In primo luogo, non si comprende in che modo sia possibile “coinvolgere le realtà locali” che sono migliaia e migliaia e sono, da sempre, i responsabili principali dello scempio. In secondo luogo, forse non è chiara l’entità e la vastità del “feno- meno da recuperare”. Da dati raccolti dal Centro Studi Sogeea risulta che sono pervenuti ai Comuni, a seguito del condono edilizio del governo Craxi del 1985 e di quelli successivi dei governi Berlusconi, ben 15.5 milioni di domande di sanatoria e un terzo di esse (5.3 milioni) è ancora in attesa di essere esaminato. Ma c’è di più: una stima fatta dalla stessa Sogeea arriva a quantificare in almeno 534.000 il numero di case costruite in zona di in edificabilità assoluta (e, quindi, da demolire). Il danno che ha investito buona parte del territorio nazionale è oramai irrevocabilmente avvenuto. Per evitare che il disastro urbanistico e idrogeologico continui e si aggravi – lo scempio procede ancora oggi a 14.000 abusi l’anno – è necessario sottrarre ai Comuni la gestione del territorio. Non bastano le proposte, provenienti da più parti, di emanare una legge che tolga ai Comuni la competenza in materia di demolizioni per attribuirla alle prefetture. È necessario togliere loro le competenze, oltre che per i condoni, anche per il rilascio delle concessioni edilizie e dei successivi certificati di staticità, agibilità o abitabilità e attribuirle, anche qui, a organi statali quali gli uffici tecnici provinciali delle sovrintendenze e del Genio civile, integrati tra loro e potenziati con uomini e mezzi. Ma un siffatto intervento che va a incidere su rilevanti interessi politici ed economici poco trasparenti (voto di scambio, speculazioni edilizie, corruttele) difficilmente sarà attuato. Sotto il profilo dei controlli e della repressione si può, da un lato, ampliare le sezioni di polizia giudiziaria e, dall’altro lato, procedere a inasprire le pene, oggi scandalosamente miti e aumentare i tempi di prescrizione dei reati edilizi, scandalosamente brevi.
SUL SECONDO argomento è intervenuto, non si comprende a che titolo, il vescovo di Ischia che, ai funerali delle vittime del sisma, ha così pontificato: “No ai giudizi affrettati e strumentali. La vera causa dei crolli non è l’abusivismo”. Si tratta di affermazioni del tutto improprie provenienti da chi non ha alcuna competenza in proposito, sì da meritarsi l’appellativo di “Monsignor sismologo” (attribuitogli incisivamente dal direttore di questo quotidiano il 28.8). Il rapporto tra abusivismo e terremoto è quanto mai stretto: chi costruisce abusivamente, di solito, non rispetta le molteplici prescrizioni antisismiche non fosse altro perché il rispetto di tali norme comporta costi molto più elevati. Sarebbe cosa buona e giusta che i prelati non intervengano su materie assolutamente estranee al loro ministero (quale, appunto, il rapporto abusivismo-terremoto). Ciò per evitare che – data l’autorevolezza che viene loro riconosciuta, al punto che difficilmente vengono contestate le loro affermazioni – queste finiscano per diventare dei veri e propri dogmi su temi non religiosi.