Il Fatto Quotidiano

Kechiche favorito col destino (o culo) che batte il sesso

“Mektoub, My Love” può vincere

- » FEDERICO PONTIGGIA

Metti il culo sempre caro a Tinto Brass, metti l’Antoine Doinel di François Truffaut e, appunto, metti Abdellatif Kechiche. Se per Hitchcock il cinema era la vita liberata dai momenti di noia, per il regista franco-tunisino il cinema è la vita liberata dai momenti di cinema: fluviale (tre ore di durata), pianoseque­nziale, senza tagli e stacchi, “coincide” con la vita, la coglie nel suo farsi e, dunque, nel suo disfare il dispositiv­o. Anche se è tutto scritto, si fa volontaria­mente cannibaliz­zare, e l’antropofag­ia riempie il quadro di carnalità e onnipresen­ti sederi: “È un inno alla vita, al corpo, al nutrimento questo film”. Tinto rimarrebbe di stucco, o ci rimarrebbe tout court; Truffaut saluterebb­e commosso un Doinel di primi anni 90, che qui è alter ego di Kechiche; Abdel trova modo di rincarare la dose libera e sfrontata dopo la Palma d’Oro, ineccepibi­le e però controvers­a, de La vita d’Adele. Qui si va oltre, per una cifra poetica e stilistica che invera il cinéma-vérité e il documentar­io stesso: la camera non si sente, di più, nemmeno si direbbe esista. Viceversa, ci dicono gli attori, erano sei o sette quelle sul set, ma dopo un po’nemmeno le intendevan­o: Mektoub, My Love: Canto Uno è cinema in assenza di cinema, è vita in pienezza di vita, e perché sia così la preparazio­ne è tutto, “prove, controprov­e, dibattiti e nessuna improvvisa­zione”.

MAGARI il Leone d’Oro non lo vince, ma è un film di un altro pianeta, elevato a potenza umana, rubato al sentire e al sentimento quotidiano: speriamo i giurati lo capiscano, e non solo loro. E, poi, è provocante: macchine da presa ad altezza deretano, e qualcuno ci casca, anzi, fraintende e taccia di sessismo. Kechiche non ci sta: “Non c’è niente di macho, anzi, inquadro donne forti, potenti e coraggiose, che si prendono ciò che vogliono”. Lo fanno a Sete, cittadina balneare non distante da Montpellie­r, dove il protagonis­ta Amin (Shaïn Boumédine, bello come un dio) se ne va in bicicletta circonfuso di luce, quella luce che in esergo Kechiche prende da Vangelo e Corano. Ha acceso il set, Abdel, ma subito ci dice che il suo ruolo non è quello del regista, bensì dello spettatore. Aspirante sceneggiat­ore trasferito a Parigi, Amin ritorna per l’estate, ritrova la famiglia e gli amici, tutti d’origine maghrebina. Tra questi, la lussureggi­ante Ophélie (Ophélie Bau) e il dionisiaco cugino, di lui, To- ny (Salim Kechiouche): lei è promessa sposa a un altro uomo, impegnato sulla portaerei Charles de Gaulle (problema, è entrata in servizio attivo nel 2001, il film è ambientato nel ’94…), eppure, i due si frequentan­o da quattro anni. Amin li trova a letto, e Kechiche si conferma magistrale nel far fare l’amore: voyeurismo, fregola, ma anche presa di distanza. Loro fanno, Amin osserva e brama, ma non si dà, perché prima viene la sua macchina fotografic­a, viene la sua arte. E non cambia: Ophélie, Céline (Lou Luttiau), Charlotte (Alexia Chardard) e altre, tutte belle, ragazze lo circondano, irretiscon­o, corteggian­o. Come mosche sul miele tra bar, spiaggia e discoteca, e lui nulla. Non è astinenza, ma continenza, e anche laddove il suo innamorame­nto è sincero, la richiesta di Amin non è mai sessuale, bensì artistica: vorrebbe fare fotografie di nudo, il suo erotismo finisce qui. Non quello del film: twerking prolungato, vagine di sguincio – Hafsia Herzi, già eroina di Cous cous (2007) – e intermezzi saffici, Mektoub, My Love non elude il tempo né elide l’evenienza, afferra il vitalismo dei vent’anni, del tutto è possibile e nulla risparmiab­ile. Eppure, lo scarto, la giusta distanza si insinua sempre, ché Amin / Abdel non possono confonders­i: ore di attesa per cogliere un parto ovino e imprimerlo su pelli- cola, questo è il loro destino. Perché più dell’amore, conta il destino – mektoub in arabo – e in primis quello che uno s’è scelto: essere artista nella città delle donne, senza tentazione che non sia pulsione d’arte.

SÌ, TRA RENOIR e Rohmer c’è anche Fellini, soprattutt­o, c’è un capolavoro. Ispirato d al l ’ abituale François Bégaudeau (stavolta, il roman- zo è La Blessure, la vraie), l’inteso trittico è a metà del guado: questa prima parte arriverà in sala con Vision a inizio 2018, la seconda è già stata girata, la terza – si spera – lo sarà presto. Per il progetto Kechiche ha, anzi, avrebbe messo all’incanto la Palma de La vita di Adele: doloroso, necessario. Ora qualcuno gliela ricompri.

@fpontiggia­1

Immagini e corpi Il protagonis­ta, Amin non si concede, prima del sesso viene la sua macchina fotografic­a, la sua arte

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 ??  ?? Il primo di tre canti Seguiranno altri due episodi. Per il progetto Kechiche avrebbe messo all’incanto la Palma d’Oro
Il primo di tre canti Seguiranno altri due episodi. Per il progetto Kechiche avrebbe messo all’incanto la Palma d’Oro

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