Django, quell’aereo non decollerà mai: smetti pure di soffrire
TFranco Nero, all’anagrafe Francesco Clemente Giuseppe Sparanero è uno degli attori italiani più famosi al mondo. Nato a San Prospero Parmense nel 1941, ha recitato per registi del calibro di John Huston, Franco Zeffirelli, Fassbinder, Pupi Avati. Il suo volto è però legato al successo dei cosiddetti western all’italiana, primo fra tutti “Django” di Sergio Corbucci (1966) divenuto icona internazionale uttavia, quando ho iniziato a sentirmi in un episodio di Ai confini della realtà, ho deciso di esorcizzare la mia paura in qualche modo. E poiché qualunque dramma, se stiracchiato, sconfina nella farsa, ho voluto buttarla sul ridere improvvisandomi giornalista e narrare la mia piccola odissea.
Mi ero alzato prestissimo, quel dì, per eseguire alcuni esami medici ed arrivare a Fiumicino verso la mezza, con partenza Alitalia alle 14,20, giacché ero atteso alle 16,30 su un set a Novoli (Brindisi) per un piccolo film d’autore, La Danza di Mauro John Capece. Ero già un po’ stanco di mio e pregustavo un sonnellino sull’aereo. Ma ecco che il ritardo fa slittare la partenza alle 16 e qualcosa. Non faccio tragedie, ma quando sai che il lavoro di altre persone dipende dalla tua presenza, un pochino smadonni. Pazienza... ed invece no, perché dalle 16 il volo slitta alle 17,40. La vita è troppo breve per incazzarsi (cosa che oltretutto mi riesce bene solo nei film, perché nella vita sono un mite) così mi rassegno. Nel frattempo ho già avvisato il regista -che giustamente mi telefonava a raffica da Novoli- del ritardo. Fosse per me sarei andato in treno, ma lui ha insistito per l’aereo, quindi, Signori della Corte, mi dichiaro non colpevole. Ma ciò non mi concede sconti di pena, perché ecco che intorno alle 18 sono ancora a terra ed odo la voce spietata della ragazza del Gate che annuncia al microfono: “Signori, il volo è cancellato!”.
UN ISTANTE PRIMA avevo notato sui monitor che tutti i voli erano in ritardo di ore; la gente urlava dai vari cancelli, tutti i Terminal erano in subbuglio con voli cancellati oppure spostati ad altri Gate ancora. L’addetta ci informa di ritirare i bagagli ed andare al Transfer per rifare daccapo il biglietto. Io avevo in mano la borsa, quattro vestiti e due cappelli da cowboy, avendo avuto la brillante idea di non spedire il bagaglio, al fine di sveltire le formalità all’arrivo, così da non far attendere il regista.
Vado al banco Transfer dove un misero pugno di eroiche valkirie Alitalia tentano di tenere a bada centinaia di persone che debbono rifare il biglietto, ma vengo travolto da una serie di urla degli utenti: “Oh, la fila inizia da giù!”; “È arrivato il furbo!”; “Ahò Django, torna indietro!”. Credevano volessi cimentarmi nello sport tipicamente italiano del non rispettare le code, ma volevo solo chiedere alle hostess se c’era da aspettarsi ulteriori ritardi anche col volo nuovo. Niente da fare!
ALLE CORTE: vado all’ufficio informazioni e da lì mi dirottano ad un altro sportello, poi, in un guizzo di disperazione, onde non rischiare di partire il giorno appresso, decido di tentare il tutto per tutto alla saletta Vip Lounge Alitalia, dove trovo un esemplare appartenente ad una fauna che un tempo s’incontrava con più frequenza: un dipendente dotato di compassione, efficienza e gentilezza.
Costui non solo mi aiuta a rifare il biglietto ma, notando che il mio viso è una maschera di dolore (soffro alla schiena per una vertebra spostata, e tutte quelle ore in fila o in giro come un’anima in pena non l’hanno migliorata), mi consente di sedermi là per un po’. Trasandato, stanco, con in mano i cappelli e tutto il resto, sembro un mix fra un barbone ed un “vucumprà”.
Il nuovo volo è alle 22,30. Ormai so che girerò domani le scene previste per oggi, come so che avrò addosso tutta la stanchezza che a trent’anni, quando saltavo da una parte all’altra della Terra, non sentivo... ma c’è un ritardo sul ritardo dei ritardi precedenti. Insomma finirò per partire alle 23,20, dopo ben nove ore d’attesa. Se fossi Cinese vedrei il lato positivo, in Cina il nove è numero cabalistico e porta bene, ma ho la sfiga di essere Italiano ed a me ha portato solo mal di schiena, mal di testa e difficoltà di concentrazione sul lavoro che ho dovuto recuperare il giorno dopo. È una vita che mi servo dell’Alitalia, la cui crisi è nota, e quasi mai è filato tutto liscio, così come non sono mai riuscito ad usare i punti accumulati per voli gratuiti, ben duecentomila miglia! (Quando ci provo mi rispondono sempre che non c’è posto; fossi maligno, penserei che mi stanno pigliando in giro). Sull’aereo il comandante ci avvisa che il ritardo è tutta colpa di un “nubifragio” su Roma. Non sono un pilota d’aerei, sebbene in 58 minuti per morire mi sia messo ai comandi di un volo di linea per sfuggire a Bruce Willis, dunque concedo il beneficio del dubbio a questa giustificazione; e tuttavia, da viaggiatore veterano che ha volato con condizioni atmosferiche da far invidia ai film catastrofici americani, il maltempo di quel giorno non mi è parso il Diluvio Universale.
A NOTTE FONDA sono finalmente a Brindisi e da là mi portano a Novoli, una bomboniera di paesino che sembra uscito da una cartolina del Messico, dove ho ricevuto il welcomedell’intera troupe... cinque persone, regista incluso! Eh già, la recessione ha influito anche su quel che resta del nostro cinema, non solo sui viaggi in aereo, ed oggi si fanno film anche così. Ma con oltre duecento pellicole sul groppone nella mia lunghissima carriera di attore girovago, oggi quando recito in Italia preferisco aiutare i giovani registi squattrinati, piuttosto che fare fiction o diventare sconosciuto grazie ai Reality. Per il resto, mi accontento di essere ancora molto richiesto nelle grandi produzioni mondiali.
Per me le inefficienze in cui l’Italia, con o senz’ali, s’è candidata all’Oscar a tutti i livelli, non sempre sono “spie di un malessere”. A volte sono un compiaciuto modus vivendi, forte del fatto che tanto-nessuno-paga; e questo vale un po’ in tutto: nei disservizi come nell’immigrazione (dove il trasporto dei clandestini pare più efficiente di quello dei passeggeri paganti di un treno o di un aereo); nelle decisioni monetarie europee dettate ai paesi che hanno perso sovranità (l’Euro docet), per finire alla corruzione politica di un’Italia dove una volta si votava. Ma poiché sto parlando della mia patria (altro termine desueto che ai cretini suona “f as cista”), preferisco vivere qua che altrove, ritardi inclusi. Ora concludo, non vorrei, partendo dal micro, sconfinare troppo nel macro. Meglio chiosare con una battuta dell’indimenticabile Marcello Marchesi: “Se tardo due ore succede il finimondo, ma se muoio nessuno se ne accorge”. Che c’entra? Niente, esattamente come Franco Nero nulla c’entra col giornalismo; e come Alitalia, a volte, nulla c’entra coi voli di linea civili. Talvolta c’entra di più con quelli incivili.
Chi è LA VALIGIA DELL’ATTORE
Avevo in mano la borsa, quattro vestiti e due cappelli da cowboy, avendo deciso di non spedire il bagaglio
LA MASSIMA DEL DIVO MARCELLO Come diceva Marchesi: “Se tardo due ore succede il finimondo, ma se muoio nessuno se ne accorge”