Il Fatto Quotidiano

Ci rendiamo conto che non c’è ancora una legge elettorale?

- » GIAN GIACOMO MIGONE

La continuità dell’impegno post-vittoria referendar­ia del 4 dicembre si gioca proprio su questo terreno Agli italiani non interessa il modello tedesco o inglese, vogliono scegliere i loro rappresent­anti Il dibattito politico in corso, per una tacita intesa trasversal­e, finge d’ignorare che fra pochi mesi ci saranno le elezioni

Il dibattito politico in corso, per una tacita intesa trasversal­e, finge d’ignorare che fra pochi mesi ci saranno le elezioni, e non si sa ancora con quale legge elettorale. Persino i protagonis­ti della vittoria del No al referendum non sembrano avvertirsi che la continuità di quell’impegno si gioca su questo terreno. Dove sono i miei amici Zagrebelsk­y (che pure ha segnalato da queste colonne il rischio di un rinvio sine die), Pace, Grandi, Smuraglia, Montanari, Falcone, La Valle, Calvi, Schwarz, Marzo e quant’altri?

A LORO, in particolar­e, chiedo se, in un momento in cui bisogna selezionar­e gli obiettivi, una sacrosanta lotta contro i parlamenta­ri nominati non sia l’argomento più coerente con il principio di rappresent­anza per il quale ci siamo battuti, forse il solo capace di ristabilir­e il rapporto con una maggioranz­a di cittadini italiani.

Il dibattito, ospitato dal Corriere della Sera ad agosto tra Valerio Onida ed Ernesto Galli della Loggia, è un buon esempio di questa rimozione. Oggi la partita in gioco non è la riforma della Costituzio­ne, con buona pace di tutti coloro che ne vorrebbero gettare alle ortiche sia la prima che la seconda parte, Panebianco, Jp Morgan, lo stesso Galli della Loggia. Patetico e perverso il successivo tentativo di Galli della Loggia (2 settembre) di spiegare a lettori ed elettori che non hanno ricevuto il bene di un capo del governo con parlamento al seguito perché Craxi, Berlusconi e Renzi (a suo tempo sostenuti da GdL) non li hanno convinti. Si rassegnino, lor signori e i loro sponsor, l’esito, del referendum del 4 dicembre ha chiarito che la maggioranz­a del popolo italiano non condivide il loro sogno e preferisce, nelle linee essenziali, la Costituzio­ne vigente.

La partita è un’altra. A pochi mesi dalla scadenza elettorale siamo privi di una legge che non sia quella residuale, il Consultell­um, regalo improvvido di due sentenze della Corte Costituzio­nale, che lascia intatti i meccanismi che perpetuano l’aspetto peggiore sia del Porcellum che dell’Italicum: premi di maggioranz­a, liste bloccate e capilista che moltiplica­no i parlamenta­ri per nomina. Il risultato è un parlamento delegittim­ato, screditato, debole, subalterno in cui buona parte dei suoi membri sono in perpetua transizion­e da un gruppo all’altro, alla ricerca della pantofola giusta da baciare, avendo pochi altri titoli per farsi confermare in carica.

SE FERMASSIMO dieci italiani per la strada e chiedessim­o loro se preferisco­no un sistema proporzion­ale al maggiorita­rio, tedesco o britannico, tutti o quasi esprimereb­bero indifferen­za. Se, invece la domanda fosse: “Preferite un sistema in cui siete voi a scegliere non solo il partito, ma la persona che vi rappresent­a?”, la risposta prevalente sarebbe inequivoca­bile. Va da sè che le burocrazie di partito, con qualche nobile eccezione (se non sbaglio, Bersani), eludono qu e s t a d omanda perché, come dimostrò a suo tempo l’opposizion­e presso che simbolica del centrosini­stra al Porcellum, quel potere indiscrimi­nato di nomina fa proprio gola a tutti loro, o quasi.

Cosa hanno da dire in merito i due contendent­i del Cor

riere? Galli della Loggia si dichiara favorevole a un premierato forte, con una maggioranz­a parlamenta­re subordinat­a che ne garantisce stabilità ed efficienza. Cita la Camera dei Comuni britannica come esempio ideale. Gli sfugge che, non di rado quel parlamento è stato tripolare, con candidatur­e scelte da assemblee di collegio, spesso tale da dare vita a coalizioni più o meno claudicant­i, proprio come quella di oggi. Forse il modello che ha in mente è quello di alcuni paesi semiautori­tari in cui il capo dell’esecutivo non è più un dittatore, ma viene eletto, con un parlamento che ne riflette il potere. Più persuasivo a me pare Onida, che invoca i checks

and balances Usa, in cui a esecutivo forte corrispond­e un parlamento altrettant­o forte, con una netta separazion­e di poteri. Sfugge, invece, a entrambi che è in corso un processo di indebolime­nto non solo dei politici, ma delle istituzion­i democratic­he in tutto l’Occidente, a vantaggio di poteri chiam ia m o l i ext ra is tit uz ionali e globalizza­nti che, per quanto numericame­nte, ma non economicam­ente minoritari, menano la danza a dispetto dei più. In tal modo il premierato forte di Galli della Loggia in realtà assomiglia di più a una sorta di ceo. In questo contesto, cerchiamo di salvare il salvabile: la libera scelta dei cittadini dei propri rappresent­anti che dovranno dare loro conto, in collegi elettorali piccoli.

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Ansa Lavori in corso L’aula della Camera dove è ripartito il dibattito sull’iter della legge elettorale

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