Bobi Bazlen, il genio che cercava nei libri il “suono giusto”
Di intellettuali così si è perso lo stampo: ecco la prima cosa che verrebbe da dire, di fronte alla figura di Bobi Bazlen. E invece no. Lo stampo di Bazlen non c’è oggi come non c’era prima, ai tempi di un’editoria di cui, questo sì, si è perso lo stampo, semplicemente perché non è mai esistito. Era un genio senza stampo Roberto Bazlen detto Bobi, che nei libri cercava “il suono giusto”, e per capirne il valore li ascoltava, come zio Paperone assaggia il dollaro per capire se è davvero d’oro. Ma ci sono cose che solo a forza di cercarle non si trovano, e questo è il primo merito di Bobi Bazlen-L’ombra di Trieste (La nave di Teseo), in cui Cristina Battocletti ricostruisce la vita di una figura tanto sfuggente quanto leggendaria della nostra editoria, collaboratore di Bompiani, Einaudi, Guanda, Adriano Olivetti, infine cofondatore di Adelphi.
UNA BIOGRAFIA p oe t i ca , narrata con l’occhio fisso sui documenti ma l’orecchio teso alla musica del caso, dove risuona l’onda sommessa di Trieste. Non poteva che partire da qui l’infinito viaggiare di questo grande irregolare cosmopolita e misantropo, solitario e poligamo, vitale e malinconico (in una parola, triestino), fuggito dalla sua città nel 1934, a 32 anni, per non tornarci mai più. Da allora mai una vera residenza, un lavoro o una compagna fissa spezzeranno la sua vocazione di amante senza fissa dimora. Né con Trieste né senza Trieste.
Battocletti ripercorre la sua fuga senza fine, passo per passo, secondo una logica che è solo in parte cronologica, piuttosto un riannodare il filo degli affetti. L’inti- mità con Umberto Saba e la figlia Linuccia, il ruolo svolto nella scoperta di Svevo, la complicità milanese con Eugenio Montale, la frequentazione romana del salotto di Ernst Bernhard, psicanalista e astrologo junghiano; il sodalizio durato per la vita con Quarantotti Gambini e quello tardo con Stelio Mattioni, in cui sembra capovolgersi un implacabile schema edipico. Per tutta la vita Bazlen fu alla ricerca di figure paterne di cui finì per diventare il fratello maggiore, così come tradusse, riportò alla luce talenti dimenticati e ne coltivò di nuovi senza mai pubblicare nulla di suo. Non saliva in bicicletta Bobi, preferiva aiutare gli altri a farlo: “Era un facilitatore. Reggeva il sellino della bici per dare propulsione. Ma quando l’allievo prendeva l’abbrivio, Bazlen lasciava la pista, girava le spalle e si metteva le mani in tasca, riprendendo la propria strada con la consueta andatura curva”.
COME IN UN SILLABARIO, la narrazione della Battocletti prima separa Bazlen dalle molte leggende che lo circondano per poi riconsegnarci l’uno e le altre più uniti che mai, oggi che l’edi- toria si affida sempre meno al fiuto, alle capacità divinatorie dell’istinto, a quanto aveva generato il mito dell’uomo che cercava “il suono giusto”. Eppure nel 1962 insieme con Luciano Foà aveva fondato l’Adelphi, l’editore che avrebbe fatto scoprire al l’Italia l’opera omnia di Nietzsche, gli autori della Mitteleuropa non meno di tanti classici della cultura orientale. “Libri unici per lettori affini”: esattamente come era stata la vita di Bobi Bazlen, genio senza stampo. Sarebbe morto tre anni dopo. Appena in tempo.