Ogm, la Corte dell’Ue sfida i divieti italiani
Giudici di Strasburgo: limiti illegittimi
■Una direttiva consente ai Paesi di bloccare gli organismi geneticamente modificati. Ma un agricoltore ottiene verdetto favorevole per il suo mais Ogm: contano gli studi scientifici europei, non quelli italiani
Il titolo del comunicato stampa della Corte di giustizia dell’Ue diffuso ieri dava una sentenza senza scampo: “Gli stati membri non possono adottare misure di emergenza concernenti alimenti e mangimi geneticamente modificati senza che sia evidente l’esistenza di un grave rischio per la salute o per l’ambiente”. Tradotto e calato nella cronaca: ha ragione l’imprenditore veneto Giorgio Fidenato che da anni coltiva in Friuli Venezia Giulia un tipo di mais Ogm, il Mon 810 sebbene sia vietato dalle leggi italiane e per questo motivo è stato condannato. Ieri il coltivatore ha esultato: dopo la sentenza di ieri potrebbe essere assolto.
LA VICENDA. Nel 2014, Fidenato viene condannato dal Tribunale di Udine per le sue coltivazioni fuorilegge. In Italia, per i trasgressori sono previsti il carcere da 6 mesi a 3 anni e multe da 10 mila a 30 mila euro. Fidenato fa ricorso, si appella alle norme europee e soprattutto al fatto che quella tipologia di mais sia stata approvata dalla Commissione Europea. Il mais Mon 810 è una tipologia geneticamente modificata che, nella sua struttura molecolare, contiene una proteina nociva per gli insetti, ma ritenuta innocua per l’uomo. È prodotto e venduto dalla multinazionale di sementi americana Monsanto. Nel 1998, la Commissione europea ne autorizza l’immissione in commercio. La decisione si basa sul parere emesso dal comitato scientifico che ritiene non ci sia pericolo per la salute umana o per l’ambiente. La questione però, non si esaurisce con questa autorizzazione.
NEL 2013, infatti, l’Italia emana un decreto con cui decide di adottare delle misure di emergenza per vietarne la coltivazione sul territorio. Le motivazioni sono diverse. La prima: i requisiti di cui si è tenuto conto per l’approvazione nel 1998 – e successivamente per il rinnovo dell’autorizzazione - sono, secondo i ministeri di Ambiente e Agricoltura, meno stringenti di quelli stabiliti (e sostituiti) da una successiva direttiva del 2001 e di quanto stabilito poi nel 2008 dal Consiglio dell’Ue per quanto riguarda le procedure per contrastare il rischio ambientale nella diffusione degli Ogm, con relative linee guida. La seconda: nel 2011, l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, avrebbe prodotto un parere su un altro tipo di mais Ogm, il Bt11, e concluso che la coltura avrebbe impatti negativi sulle popolazioni di lepidotteri (insetti) non dannosi per il mais. Un problema che potrebbe essere esteso anche alle coltivazioni di mais Mon 810 in assenza dell’applicazione di precauzioni per la tutela della biodiversità. Tutele sulle quali, sostiene il decreto, non sarebbero però arrivate chiare indicazioni. Inoltre, l’Italia produce due studi sull’argomento. Uno è realizzato dal Cra, il Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, un altro dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale: entrambi sottolineano i possibili effetti nocivi sui lepidotteri e la possibilità dello sviluppo di parassiti dannosi per le altre colture.
È una guerra di studi: da un lato quelli Ue, dall’altro quelli italiani. La palla passa alla Commissione Europea che ribadisce la fondatezza dei propri ma non si esprime sulle misure cautelari da imporre all’Italia per la sua decisione. Decide di lasciare tutto sospeso, tanto che l’Italia prima proroga il divieto (scadeva dopo 18 mesi) e in seguito recepisce una direttiva del 2015 che pre- vede misure restrittive anche per motivi che vadano oltre il “principio di precauzione” e le “misure d’emergenza” in caso di grave rischio della salute umana, degli animali o ambientale” a cui fa riferimento la sentenza della Corte di giustizia, basata su regolamenti precedenti (1898/2003 e 178/2002). Dal 2015, gli Ogm possono in pratica essere vietati anche per motivi socio-economici, di destinazione del suolo o di politica agricola e urbana. Ed è solo sulla base di questi motivi che a oggi ne è vietata la coltivazione in 15 Stati, Italia compresa. “Con questa sentenza viene comunque calpestato il principio di precauzio- ne, uno degli strumenti pilastro in difesa dell’ambiente e della salute dei Paesi membri e baluardo della normativa Ue contro i trattati di libero scambio come Ceta e TTIP”, hanno fatto notare ieri i parlamentari del MoVimento 5 Stelle delle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato.
Lo scontro
Due studi ignorati da Strasburgo, che restringe il principio di precauzione
“LA SENTENZA - spiega Federico Sorrentino, professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma. - dice che il principio di precauzione si rifà ai due regolamenti. Uno di carattere generale, si riferisce a tutti i prodotti destinati a ll ’ alimentazione umana. L’altro specificatamente agli
Ogm: è più restrittivo, dice che il principio di precauzione vale solo se c’è un pericolo grave e manifesto, perché sono prodotti già autorizzati. Il decreto del 2013 resta in vigore fintanto che la commissione non disponga diversamente. Il giudice probabilmente disapplicherà il decreto legge dicendo che è in contrasto con la normativa europea. Questo potrebbe portare all’assoluzione dei due coltivatori”. Sul decreto, lo Stato italiano avrebbe potuto percorrere un’altra via. “Se avesse ritenuto che il principio fosse violato dall’autorizzazione della commissione - spiega Sorrentino - avrebbe dovuto impugnare quella de- cisione e i regolamenti davanti alla Corte di giustizia. Il problema è che sono prodotti autorizzati e su questa materia l’Italia ha demandato la potestà alla Commissione”. Resta comunque il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, che dovrebbe sovrastare il diritto comunitario (che pure si occupa di salute). “Se per ipotesi la questione venisse portata davanti alla Corte Costituzionale – spiega Sorrentino - questa dovrebbe far prevalere l’articolo 32 sul regolamento europeo. È un principio assolutamente pacifico per noi. Certo creerebbe certamente problemi ai nostri partner dell’Unione”.