Il Fatto Quotidiano

Zio Podger, che domatore di quadri!

La famiglia arruolata per appenderne uno

- » JEROME K. JEROME

Non

si è mai visto un trambusto come quello che accadeva in casa di mio zio Podger quando egli si disponeva a eseguire qualche lavoro domestico. Per esempio, c’era un quadro arrivato fresco dal corniciaio, ritto contro una parete della sala da pranzo, in attesa che qualcuno lo appendesse; la zia Podger domandava che cosa si doveva fa- re con quel quadro, e lo zio Podger rispondeva: “Oh, lascia fare a me. Nessuno se ne preoccupi. Nessuno. Ci penso io”. Allora si toglieva la giacca e cominciava. Mandava la domestica a comprare sei pence di chiodi, poi la faceva raggiunger­e da uno dei ragazzi per dirle quanto dovevano essere lunghi; e da quel momento, a poco a poco, mobilitava tutta la famiglia.

Tutta la famiglia al servizio Vammi a prendere il martello, Will. Tom, mi occorre una scaletta. Jim, fatti prestare la livella. Maria, avrò bisogno del lume

nuti fa! Roba da matti...”.

In quel momento, si alzava dalla seggiola su cui, frattanto, si era lasciato cadere, e scopriva di essere stato seduto proprio sulla giacca. “Ormai, potete smettere di cercarla!” gridava allora. “L’ho trovata da solo. Se aspettavo che me la trovaste voialtri, tanto valeva che mi rivolgessi al gatto!”. Quando poi si era sprecata una mezz’ora per medicargli il dito, si era provveduto un vetro nuovo, e gli utensili, la scaletta, la seggiola, e la candela erano stati portati in sala, lo zio Podger faceva un altro tentativo, mentre tutta la famiglia, compresa la cameriera e la donna di fatica, gli formava attorno un semicerchi­o, pronta ad aiutare. Due persone dovevano tener ferma la se- dia, un’altra doveva aiutarlo a salirci sopra e dargli una mano per stare in equilibrio, una quarta gli porgeva il chiodo, una quinta il martello e lui prendeva il chiodo e lo lasciava cadere.

“ECCO!” DICEVA in tono esulcerato “adesso, se n’è andato il chiodo”. Noi dovevamo inginocchi­arci tutti per esplorare il pavimento e cercare il chiodo, mentre lo zio brontolava e domandava se lo avremmo costretto a stare lassù tutta la sera. Finalmente, si trovava il chiodo, ma intanto lui aveva perso il martello. “D ov’è il martello? Dove ho cacciato il martello? Accidenti! ve ne state lì in sette, a bocca aperta, e non sapete dove ho cacciato il martello!”.

Si trovava il martello, ma lui, intanto, aveva perso di vista il segno che aveva fatto sulla parete per piantarci il chiodo; a uno a uno, salivamo tutti accanto a lui, sulla sedia, per vedere se ci riusciva di trovarlo; ognuno lo scopriva in un posto diverso, e lo zio ci dava degli imbecilli e ci ordinava di scendere. Prendeva la riga, misurava daccapo, constatava che il chiodo doveva distare dall’angolo la metà di settantaci­nque centimetri e sette millimetri, tentava di fare il calcolo a memoria e andava fuori dai gangheri. Ognuno di noi tentava, allora, di fare lo stesso calcolo a memoria, ma tutti arrivavamo a un risultato diverso e ci deridevamo a vicenda. Nel trambusto generale, ci si dimenticav­a del numero originale e lo zio Podger doveva riprendere la misura. Questa volta, si serviva di un pezzo di spago, ma al momento critico, quando, da quel vecchio tonto che era, si stava sporgendo dalla sedia a un angolo di quarantaci­nque gradi e tentava di raggiunger­e con la mano un punto che era almeno una spanna più in là del massimo a cui poteva arriva-

re, lo spago gli sfuggiva dalle dita, e lui piombava sul pianoforte e produceva un efficace effetto musicale, colpendo i tasti simultanea­mente con la testa e col corpo.

LA ZIA MARIA diceva che non poteva permettere ai bambini di rimanere ad ascoltare il linguaggio dello zio Podger. Finalmente, lo zio riusciva a fissare di nuovo il punto dove andava piantato il chiodo, vi appoggiava il punto del chiodo con la sinistra e prendeva il martello con la destra, ma al primo colpo si schiacciav­a il pollice, dopo di che, con un grido di dolore, lasciava cade- re il martello sui piedi di qualcuno. La zia Maria osservava blandament­e che se un’altra volta lo zio Podger si fosse sognato di piantare un chiodo nel muro, lei si augurava che la preavvisas­se, dandole il tempo di prendere le sue misure per andare a passare una settimana con sua madre, intanto che si compiva l’impresa. “Oh, voialtre donne fate sempre un gran cancan per ogni nonnulla!” ribatteva lo zio Podger riprendend­osi. “A me piace tanto fare qualche lavoretto in casa”.

POI COMPIVA un altro tentativo e, al secondo colpo, il chiodo penetrava tutto intero n el l’intonaco e la testa del martello gli andava dietro per metà, cosicché lo zio Podger veniva proiettato contro il muro con una forza sufficient­e ad appiattirg­li il naso. Naturalmen­te, dovevamo rimetterci alla ricerca della riga e dello spago, e lui faceva un altro buco; verso la mezzanotte il quadro era attaccato... storto e malsicuro, mentre la parete per qualche metro all’intorno aveva l’aria di essere stata grattata con un rastrello; e tutti eravamo stanchi morti, depressi... tutti, a eccezione dello zio Podger. “Ecco fatto!” esclamava, saltando pesantemen­te dalla sedia sui calli della donna di fatica e, osservando la devastazio­ne compiuta, con palese orgoglio. “Diamine, tanti altri avrebbero chiamato un operaio per fare un lavoretto di questo genere!”. © 1950-2017 Rizzoli Libri S.p.A.

/ BUR Rizzoli, Milano

Si tagliava un dito col vetro ma non trovava il fazzoletto perché era nella tasca della giacca che non sapeva dove aveva messo Verso la mezzanotte la tela era attaccata, storta e malsicura; tutti eravamo stanchi morti, depressi... tutti, a eccezione sua

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Dal capolavoro di Jerome K. Jerome, nel ’56 è stato tratto anche un omonimo film, diretto da Ken Annakin
Lo scrittore inglese Dal capolavoro di Jerome K. Jerome, nel ’56 è stato tratto anche un omonimo film, diretto da Ken Annakin
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