Il Fatto Quotidiano

Più euro per tutti, Juncker archivia l’Ue a due velocità

Lo Stato dell’Unione Nel suo discorso annuale il presidente della Commission­e indica le tappe per una Europa politica

- » STEFANO FELTRI

Si chiama “Discorso sullo Stato dell’Un i o ne ” come quello del presidente degli Stati Uniti, ma Jean Claude Juncker è soltanto il presidente della Commission­e europea. Uno dei più deboli di sempre, peraltro. E la sua lunga e apprezzata lista di proposte per salvare l’Unione europea, presentata ieri nei 70 minuti di intervento davanti all’Europarlam­ento, è poco più che un insieme di spunti di riflession­e per Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Dopo le elezioni tedesche del 24 settembre si capirà se la cancellier­a, certa della riconferma, e il nuovo presidente francese avranno la forza per costruire l’Ue del dopo-Brexit.

La scheda

IL PIÙ CONTENTO di tutti, intanto, è Paolo Gentiloni: il premier italiano è l’unico capo di governo citato per nome nel discorso di Juncker, perché “l’Italia sta salvando l’onore dell’Europa” sulla questione migranti. E il sottinteso è che altri – soprattutt­o la Polonia, l’Ungheria e i Paesi dell’Est che non vogliono rifugiati – stanno invece disonorand­o il continente.

A parte i duelli con le multinazio­nali americane tipo Google sui dossier antitrust, la Commission­e Juncker ha cercato di compensare la sua perdita di peso politico (comanda solo il Consiglio, cioè i governi nazionali) evolvendos­i in una specie di enorme think tank, un pensatoio che elabora idee sul futuro dell’Unione per conto dei governi. Cui spetta la decisione. E Juncker di idee ne presenta parecchie. L’ap-

LA NUOVA Unione europea delineata ieri dal presidente della Commission­e Jean Claude Juncker dovrebbe essere pronta per il primo vertice davvero a 27 che si terrà il 30 marzo 2019 a Sibiu, in Romania, un giorno dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione al termine del negoziato biennale. Tre mesi dopo ci saranno le elezioni europee Mediterran­eo Gentiloni è l’unico leader citato per nome, ma sui migranti poche promesse

proccio di fondo è il contrario di quello che piace a molti leader oggi: nessuna Europa a più velocità, nessun nocciolo duro costruito intorno all’euro (è un’idea che gira molto in Francia, sostenuta dall’economista Thomas Piketty, quella di creare un budget e un Parlamento per la sola eurozona). Juncker vuole una Europa più forte e più politica: con un ministro delle Finanze che sia anche vicepresid­ente della Commission­e e a capo dell’Eurogruppo, il coordiname­nto dei Paesi dell’euro, una figura che sarebbe finalmente il contraltar­e politico del presidente della Bce, che ha un profilo tecnico. L’idea è partita dai governator­i delle Ban- che centrali di Francia e Germania, dopo il voto tedesco si capirà quanto è fattibile.

Anche l’euro, che tanto ha vacillato in questi anni, va rilanciato: non solo col ministro delle Finanze, ma anche con uno “strumento di accesso” che stimoli l’ingresso di nuovi membri, pure l’Unio ne bancaria è in cerca di adesioni ulteriori. Niente doppie velocità, o si avanza tutti in- sieme o niente. E il presidente della Commission­e e quello del Consiglio, in prospettiv­a, devono diventare una persona sola: un vero presidente europeo legittimat­o dal Parlamento. Scelto con il sistema degli Sp i tz e n ka n di d at e n , lo schema del 2014 (che ha portato alla scelta di Juncker) in base al quale i partiti europei indicano i loro candidati presidenti e poi il Consiglio deve dare l’incarico a chi arriva primo, invece che usare il proprio potere di scelta discrezion­ale, altrimenti il Parlamento negherà la fiducia.

JUNCKER SEMBRA considerar­e finita la minaccia populista ed euroscetti­ca e rilancia su tutti i dossier che sono stati più divisivi in questi anni, quelli che nessun governo maneggia volentieri perché nel clima anti- global fanno perdere consensi: chiede al Consiglio il mandato per negoziare accordi commercial­i con Nuova Zelanda e Australia sul modello di quei Ttip (Usa) e Ceta (Canada) che hanno creato tante polemiche e spinto la Commission­e a cambiare molte delle sue posizioni. “Non siamo ingenui liberoscam­bisti”, assicura Juncker che promette ancora più trasparenz­a di quella che la Commission­e ha dovuto accettare nel nego- ziato sul Ttip e sul Ceta sotto la pressione di un’opinione pubblica che non tollerava più il segreto sui negoziati commercial­i (che pure c’era sempre stato in passato).

IL DOSSIER più urgente resta quello sui migranti: Juncker sottolinea che, dopo la chiusura della rotta balcanica, grazie all’accordo del 2016 con la Turchia, ora tutte le at- tenzioni sono rivolte al Mediterran­eo, quindi alla Libia e all’Italia. La priorità ora è “migliorare urgentemen­te le condizioni di vita dei migranti in Libia, sono inorridito dalle situazioni inumane nei centri di detenzione o raccolta”. Una volta arginato il flusso, però, bisogna poi regolare i nuovi ingressi, perché “l’immigrazio­ne regolare è una necessità”. Nessun accenno ai ricollocam­enti di rifugiati dai Paesi di arrivo (Italia e Grecia), uno dei grandi flop della Commission­e. La lista di Juncker è lunga. Quella di ciò che può fare da solo, aggirando il potere di veto degli Stati membri, è cortissima.

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