Il Pd litiga anche sui nomi della commissione banche
I capigruppo avevano promesso di indicare i commissari dem entro ieri sera, ma hanno rinviato ancora: Renzi non ha deciso se vuole la guerra oppure la tregua con Bankitalia
In serata diventa chiaro: pure stavolta nulla di fatto. I nomi dei parlamentari Pd che faranno parte della commissione d’inchiesta sulle banche restano un mistero gaudioso che vive nella penna dei capigruppo dem Ettore Rosato e Luigi Zanda e, soprattutto, nella testa di Matteo Renzi, ancora incerto su che via imboccare sul sistema del credito. Guerra totale o tregua con l’e s t ab l ishment (Ignazio Visco e il suo protettore Sergio Matterella su tutti)? E così una commissione la cui istituzione fu proposta nel lontano aprile 2013, quasi quattro anni e mezzo dopo ancora non riesce a vedere la luce per mancanza di componenti e, soprattutto, perché al Nazareno non capiscono chi andrà a presiederla.
E DIRE CHE IL POVERO Rosato proprio ieri pomeriggio aveva tranquillizzato la presidente della Camera Laura Boldrini nella riunione dei capigruppo: entro oggi indicheremo i componenti che spettano al Pd. E invece mentre il buio cala su Roma si capisce che no, niente nomi: “Magari domani”, che sarebbe oggi.
Dentro il Pd, raccontano, non riescono a mettersi d’accordo su chi nominare. O meglio, è Renzi che non riesce a mettersi d’accordo con Renzi . Da settimane ormai - la legge istitutiva è in vigore da giugno - il leader di Rignano sull’Arno oscilla tra due opposte tentazioni. La prima è la voglia di trasformare l’inchiesta parlamentare nella sua personale battaglia contro la Banca d’Italia (accusata di averlo “fregato” sul caso Etruria) e contro i suoi nemici (D’Alema & C per il caso Mps).
La seconda è scegliere la via della tregua: sopire, troncare... Ovviamente le due strade comportano interpreti diversi. La guerra è la strada preferita dai “toscani”, che sono poi i parlamentari vicini anche a Maria Elena Boschi, che rischia di veder spubblicata in Parlamento la sua richiesta – quand’era ministro – a Federico Ghizzoni di Unicredit di salvare Etruria, cioè la banca di cui il padre era vicepresidente.
IN QUESTA o pzione, nella commissione d’i nchiesta dovrebbero finire parecchi fedelissimi toscani: Parrini, Ermini, Fanucci, etc. Il presidente, in questa versione, sarebbe il senatore Andrea Marcucci. Problema: per accedere all’alta carica Marcucci - giuste le regole messe nero su bianco dai capigruppo dem per tener fuori i reprobi pericolosi tipo Massimo Mucchetti o Francesco Boccia - dovrebbe dimettersi da presidente della commissione Cultura di Palazzo Madama. Cosa che il nostro farebbe pure, ma senza avere la certezza di sedersi sulla nuova poltrona: i numeri del Pd nella “commissione banche” sono risicatissimi e un presidente iper-renziano come Marcucci non passerebbe mai.
E così ieri Renzi pareva orientato all’appeasement, alla tregua istituzionale. Sotto coi non toscani: Galli (ex Confindustria), il commercialista Sanga, forse l’ex Confartigianato Sangalli. Seconde file presentabili e senza particolari affiliazioni con Rignano o Arezzo. Solo che così Renzi rischia di non scegliere il presidente e cioè di non controllare il calendario dei lavori e delle audizioni dell’inchiesta. E oscilla di qua, e oscilla di là. E i poveri Rosato e Zanda aspettano e promettono: i nomi entro oggi, forse domani, magari dopo...
La via toscana
Il presidente che piace al “capo” è il senatore Andrea Marcucci Problema: non ha i voti Quattro anni
La prima proposta di istituire una commissione d’inchiesta sul sistema del credito è dell’aprile 2013: è diventata legge a fine giugno, ma ad oggi è ancora ferma (avrà solo tre mesi per lavorare)