“Il mio Tabucchi voleva pulizia”
Maria José de Lancastre L’intervista alla moglie dello scrittore in occasione della due giorni di ricordi alla Fondazione Feltrinelli
Antonio Tabucchi ci ha lasciati cinque anni fa. Da allora non abbiamo mai smesso di avere nostalgia, di rimpiangere la sua presenza di letterato e intellettuale, anche sulle pagine del nostro giornale, che ha avuto l’onore della sua firma.
Le sue ceneri si trovano nella zona riservata agli scrittori nel cimi- tero monumentale dos Prazeres di Lisbona, di cui il regista Alain Tanner ci mostra le immagini nel film “Requiem”, tratto dall’omonimo libro del professore. Secondo i guardiani del cimitero, tanti italiani vanno a trovarlo e quasi sempre lasciano qualcosa sulla sua tomba: un sassolino, un piccolo quaderno, un messaggio scritto.
Da pochi mesi accanto a lui c’è anche uno scrittore messicano, Antonio Sarabia, che viveva da qualche anno a Lisbona e che secondo la famiglia avrebbe voluto riposare accanto a Tabucchi.
Ce lo racconta Maria José de Lancastre, compagna di tutta la vita anche accademica (ha insegnato a lungo Lingua e letteratura portoghese all’Università di Pisa). Maria José, qual è l’eredità letteraria di Antonio Tabucchi? Ci rimane la sua voce inconfondibile di narratore, lo stile limpido, le storie aperte al mondo, a luoghi diversi, vicini e lontani, e a tutte le stagioni della vita. L’invenzione di personaggi, incontri, dialoghi. E una dimensione metafisica che riguarda gli interstizi, le pieghe dell’esistenza, lo sfasamento con il mondo che ci circonda. C’è anche il vasto tessuto di influenze culturali che attraversa tutto il suo lavoro: un mondo di letture e autori che lui fa suoi per i lettori in un modo naturale, grazie al rapporto immediato che aveva con la letteratura. Queste ramificazioni sono dentro la sua opera e così, leggendolo, ci raggiungono echi di Rimbaud, di Sofocle o di Rilke. C’è, nei i suoi libri, un vento di voci che allarga l’anima. La sua dimensione di scrittore travalica i confini italiani: è amatissimo a Parigi, dove avete vissuto per lunghi periodi, e naturalmente in Portogallo, l'altra vostra patria. In questi cinque anni i suoi libri sono arrivati in altri Paesi, ancora più lontani: Corea, Thailandia, Azerbaijan, Georgia, Bielorussia, Cina. Negli Stati Uniti, un nuovo editore, Arcipelago, sta pubblicando la parte più recente della sua opera, e ripubblicando nuove traduzioni dei libri che uscirono già trent’anni fa. In Giappone, dove sono pubblicati 17 suoi lavori, è uscito anche un libro di saggi su di lui e c’è un vero culto dei lettori che si riuniscono ogni anno per fare letture pubbliche della sua opera.
In diversi Paesi ( Italia, Germania, Argentina, Portogallo) alcuni registi hanno operato adattamenti teatrali dei suoi testi. Sono ormai due i graphic novel tratti da
Sostiene Pereira, una in Italia e una in Francia, con grande successo.
Di lui ci manca anche l'impegno: non ha mai fatto mancare la sua voce nel dibattito pubblico. Ad Antonio stavano profondamente a cuore i valori della Resistenza e quelli in cui credevano coloro che dopo la guerra hanno voluto costruire una nuova Italia, democratica, pulita, solidale. Gli stavano particolarmente a cuore i più deboli della società, quelli che non hanno cittadinanza e a cui lui ha dato voce in alcuni dei suoi libri, e per i quali ha battagliato nella vita reale, com’è stato il caso dei Rom. Ricordo non solo La testa perduta di Damasceno Monteiro del 1997 e Gli Zingari e il Rinascimento. Vive
re da Rom a Firenze che ha pubblicato nel 1999, ma anche la dura polemica su Le Mon de contro le leggi di Sarkozy nel 2008. Suo marito è stato in più occasioni molto isolato: lasciato solo anche dagli “amici”. Il periodo berlusconiano, in cui lo scandalo, diciamo così, era macroscopico, è stato quello in cui Antonio si è speso di più, in cui non ha risparmiato le forze per denunciare, irridere, per lottare contro le prepotenze, gli attacchi alla Costituzione, i tentativi di manipolare la Storia. Senza prudenza, senza calcolo, ha utilizzato le sue armi – la penna, lo scherno, l’urlo – senza paura di apparire sguaiato, attirandosi perfino l’i n so f f erenza delle anime delicate che dicevano di pensarla come lui ma trovavano che ‘esagerasse’. Un intellettuale, quando lo ritiene giusto, deve poter criticare anche un presidente della Repubblica. Gli interventi di Antonio sull’operato di Ciampi e poi di Napolitano furono accolti con diffidenza e astio, anche dai politici di sinistra. Fu il successo internazionale di Pereira che gli permise di accedere a tante tribune e di fare sentire la sua voce. Non si è tirato indietro, ha usato questa opportunità per denunciare i soprusi a cui assisteva. Anche fuori dall'Italia, come nel 2010 quando si scagliò contro i potenti maîtres à penser francesi che difendevano Cesare Battisti per ignoranza e superficialità. E, aggiungo, lo fece senza paura di venir confuso con i seguaci della Lega Nord che bruciavano i libri degli stessi con odio da tifosi. Pereira fu letto in Italia attraverso una lente politica, ma essenzialmente il libro riguarda una vicenda esistenziale. È un romanzo di formazione in cui però si rovescia il canone: di solito è il giovane protagonista a subire l’influenza di un personaggio più maturo, mentre in Pereira avviene l’inverso: è il vecchio personaggio ad aprirsi alla vita e a ‘rinascere’ grazie alla passione che sprigionano i due giovani accesi d’ideali.
Ad Antonio stavano a cuore i valori della Resistenza e l’Italia democratica, pulita e solidale