Verità per Giulio Regeni: la memoria è un’arma
Ho appeso in un luogo destinato al pubblico, in posto ben visibile, il cartello “Verità per Giulio Regen i”. Nel tempo, da quel gennaio-febbraio 2016, quest’A4 giallo si è “an i m at o ”, prima con la scritta “comunista sindacalista”, poi, più recentemente, una mano con diversa grafia ha aggiunto, indicandola bene con una freccia rivolta alla parola sindacalista, “muori male”. Ora, non c’è realpolitik che tenga; non c’è Al- Sisi, Haftar, non ci sono i problemi dei migranti, il petrolio, le commesse militari e tutto quello che si può ot- tenere dalla Libia. Non basta che l’Italia e l’Europa, piene di buone intenzioni nella lotta alla violazione dei diritti umani e contro ogni forma di tortura (peraltro in Italia la legge ancora non c’è), privilegino gli interessi economici e non si rendano conto, così facendo, che la loro è un’azione devastante nei confronti di quei popoli. Quanti Giulio Regeni ci sono stati, ci sono e continueranno a esserci in quegli Stati, come l’Egitto e la Turchia?
Che Erdogan o Al- Sisi siano il “male minore” non passa per l’a nt ic amera del cervello di chi, gente comune, certo con nulla sensibilità civile, vede in quel nostro concittadino uno che “e ra meglio fosse stato a casa sua” e non capisce perché “se l'è cercata”, mentre se fosse restato in Italia sarebbe ancora vivo. Purtroppo il tempo can- cella tutto: la stessa scritta, ingrandita e plastificata, ho appeso nel mio terrazzo, ma un po’ alla volta le intemperie l’hanno distrutta. La memoria è l’unica arma che ci rimane, insieme al dialogo con chi crede che la miglior maniera per vivere a lungo sia girarsi dall’altra parte o, peggio ancora, combattere il nostro impegno. PAOLO