“Dica l’intercettatore con parole sue...”
CARO FURIO COLOMBO, sarà solo una bozza, ma la nuova legge sulle intercettazioni mi sembra più pericolosa di prima. Ma sarebbe una buona idea per gli esami di maturità: “Dica l’esaminando in parole sue le canzoni d’amore del Petrarca”. Immaginate? DONATO FARE ENTRARE LA VIRTÙ della riservatezza del discorso indiretto e senza virgolette nella legge (che segue una lunga polemica e una grande battaglia) sulle intercettazioni, sembra davvero strano. Infatti il discorso indiretto è il discorso delle insinuazioni, del dico e non dico, del qui lo dico e qui lo nego.
È tipico del cauto aggirarsi intorno alle dittature per dire senza essere incolpato. È il linguaggio di ogni retrovia burocratica per far sapere senza prendersi la responsabilità e con piena possibilità di negare: “L’ho detto io? Ma sei matto”. È un classico della letteratura che il discorso diretto sia la struttura portante della narrazione e offra una rappresentazione più efficace del personaggio, mentre il discorso indiretto accosta, fino a confondere, il personaggio con il suo narratore, sia esso l’autore della storia o un personaggio che racconta un personaggio. Qualunque buon insegnante dice e ripete (siamo a livello di scuola media) che il discorso fra virgolette deve essere rigorosamente aderente a ciò che è stato effettivamente detto, o si vuole effettivamente attribuire a chi parla. Deve essere accurato al punto da notare salti e interruzioni, perché tutto il virgolettato è responsabilità della parte citata.
Invece il discorso indiretto tollera il riassuntino, ma sposta la responsabilità su chi sta facendo la trasposizione indiretta del (possibile) pensiero di un altro. In questo caso, irrompe in scena il ruolo della Polizia, dove cominciano le intercettazioni, e mette sulle spalle di un funzionario di turno il senso di tutto un procedimento. Se e quando tale ruolo passa al giudice, o perché partecipa all’ascolto (un fatto raro) o perché deve rivedere il lavoro svolto dal funzionario, ogni riassunto lascia trasparire un eventuale giudizio che si sta formando.
Questo perché la trasposizione indiretta è soggettiva e si colora inevitabilmente della soggettività di chi ascolta e trascrive (si pensi alle scelte di quasi ogni aggettivo che non sia testuale) mentre il discorso diretto appartiene solo alla persona intercettata. È strano che non sia apparsa subito, a persone non prive di letture e di media cultura, l’unica soluzione, che è vietare le intercettazioni o la loro pubblicazione persino negli atti (ma con possibile danno ai diritti della difesa) oppure consentire la trascrizione dei testi così come sono, tra virgolette, e la letterale attribuzione di responsabilità.
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano
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