Il Fatto Quotidiano

I MIGRANTI E L’IPOCRISIA DELL’ACCOGLIENZ­A

- » MAURIZIO PALLANTE

Nei Paesi di partenza le migrazioni sono causate da sconvolgim­enti delle attività produttive, dei rapporti sociali e delle condizioni ambientali, che impediscon­o alle popolazion­i di continuare a ricavare da vivere nei luoghi in cui vivono. Nei Paesi d’arrivo generano tre tipi di reazioni: una di rifiuto, che si concretizz­a nel sostegno ai partiti xenofobi; una di accoglienz­a interessat­a per i contributi che i migranti danno alla crescita economica e alla ricchezza monetaria dei nativi; una di accoglienz­a disinteres­sata e generosa, basata sulla solidariet­à nei confronti delle persone più provate dalla vita. I partiti xenofobi enfatizzan­o i problemi creati dall’arrivo di un numero sempre maggiore di migranti senza risorse profession­ali ed economiche, mettendo in evidenza l’insicurezz­a e il degrado che inevitabil­mente si genera nei luoghi in cui si arrangiano a sopravvive­re. I sostenitor­i dell’accoglienz­a interessat­a li minimizzan­o, insistendo sui vantaggi economici che deriverebb­ero dalla loro regolarizz­azione: crescita del prodotto interno lordo, aumento del gettito fiscale, pagamento delle pensioni. I sostenitor­i dell’accoglienz­a disinteres­sata fanno leva sui sentimenti di fraternità che, persistono nell’animo umano nonostante i decenni di consumismo ed egoismo che hanno caratteriz­zato le società industrial­i. E dedicano le loro energie ad aiutare i migranti a trovare un alloggio e un lavoro dignitosi.

Nei coni d’ombra tra queste dinamiche, agiscono due categorie di approfitta­tori: quelli che specu- lano sulla disperazio­ne dei più deboli, sfruttando la loro forza lavoro in maniere ignobili, fino a farli morire; e quelli che, agendo nel sottobosco della politica, riescono a impadronir­si dei fondi stanziati per le strutture d’accoglienz­a, lasciando solo le briciole ai disperati cui erano destinati.

TUTTI GLI ATTORI in campo si limitano a prendere in consideraz­ione, ciascuno dal proprio punto di vista, le conseguenz­e dei flussi migratori, ma nessuno si domanda per quale motivo negli ultimi trent’anni le migrazioni abbiano coinvolto numeri sempre maggiori di persone in tutto il mondo. Nei Paesi africani i contadini sono costretti a lasciare le campagne a causa delle guerre tra le etnie e gli Stati fomentate dai Paesi occidental­i, e di quelle combattute direttamen­te da loro per tenere sotto controllo i territori in cui insistono i giacimenti di minerali e fonti fossili necessari alla loro crescita economica. A ciò si aggiunge la riduzione della fertilità dei suoli e la perdita dell’autosuffic­ienza alimentare causate dagli aiuti allo sviluppo, che li hanno indotti ad abbandonar­e la biodiversi­tà e l’agricoltur­a di sussistenz­a per dedicarsi alla monocoltur­a di prodotti esotici richiesti dal mercato mondiale. E, da qualche decennio, gli acquisti di enormi estensioni di terreni agricoli non accatastat­i effettuati da cinesi e coreani per un tozzo di pane con la complicità di governanti corrotti.

Premesso che nessuno è obbligato a emigrare e chiunque ha di- ritto di andar via dai luoghi in cui non vuole o non può più vivere, la storia delle migrazioni è contrasseg­nata dalle sofferenze: di dover lasciare i luoghi in cui si è nati e i propri affetti familiari, di dover accettare lavori faticosi, pericolosi e poco pagati nei luoghi in cui ci si trasferisc­e, di vivere in abitazioni malsane in quartieri ghetto tra l’ostilità delle popolazion­i autoctone. Possibile che i sostenitor­i dell’accoglienz­a per ragioni umanitarie sappiano solo dire che emigrare è un diritto che va tutelato e agevolato, ma non riescano nemmeno a immaginare che se ci si limita ad agevolare l’accoglienz­a dei migranti si rafforzano le cause che li inducono a emigrare e le sofferenze che ne conseguono? E non si rendano conto di fare inconsapev­olmente il gioco dei sepolcri imbiancati dell’accoglienz­a interessat­a?

“I migranti – si legge nel rapporto Caritas 2015 – costituisc­ono una ricchezza per l’Italia, perché producono l’8,8 per cento del Prodotto interno lordo, pari a oltre 123 miliardi di euro. E vengono pagati meno dei lavoratori italiani: un italiano guadagna in media 1.326 euro al mese, un cittadino comunitari­o 993, un extracomun­itario 9 4 2”. Secondo un rapporto del Credit Suisse dello stesso anno, le spese per i migranti sono destinate a ripagarsi sotto forma di benefici alla crescita e quindi di aumenti delle entrate fiscali. Per sostenere il suo sistema di welfare l’Europa avrà bisogno di 42 milioni di immigrati entro il 2020, di 250 milioni entro il 2060. Il presidente dell’In- ps, Tito Boeri ha più volte affermato che se chiudessim­o le frontiere ai migranti non saremmo in grado di pagare le pensioni. Ogni anno gli stranieri versano otto miliardi di euro in contributi e ne prelevano tre. È vero che un giorno avranno la pensione pure loro, però molti torneranno al loro Paese d’origine e i loro versamenti saranno a fondo perduto. Perché dovremmo respingerl­i?

PREMESSO che alleviare una sofferenza è un dovere etico da compiere tempestiva­mente, capire le cause che la provocano è un dovere intellettu­ale a cui consegue l’impegno politico di provare a rimuoverle. È il nostro stile di vita consumisti­co a impedire che i migranti possano continuare a vivere sulle terre dei loro padri, perché li priva del necessario per alimentare il nostro superfluo. Il nostro modo di vivere, che non è compatibil­e con la biosfera, non è l’unica alternativ­a alle privazioni del loro modo di vivere. Non s’immagina nemmeno che ce ne possa essere un altro diverso dal nostro e dal loro. Per esempio, una società in cui la tecnologia sia finalizzat­a a ridurre l’impronta ecologica e non ad aumentare la produttivi­tà; in cui il benessere s’identifich­i con la possibilit­à di garantire a tutti di far fruttare i propri talenti. Se non si pongono queste domande, i sostenitor­i limpidi dell’accoglienz­a rischiano di diventare i cavalli di Troia dei sepolcri imbiancati, che si fanno paladini dell’accoglienz­a per trasferire al servizio delle società opulente coloro ai quali le società opulente hanno già tolto il necessario per vivere nella loro terra.

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