Il Fatto Quotidiano

“BIG” PAVAROTTI ESAGERAVA, MA FU IL MIGLIORE

- » PAOLO ISOTTA www.paoloisott­a.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Quando debuttò, Luciano Pavarotti aveva una voce fresca, squillante, un timbro bello e dolce. A ciò aggiungeva una straordina­ria chiarezza di dizione, che fino all’ultimo non ha abbandonat­a. Ma possedeva una musicalità grossolana­mente istintiva, a stento di carattere melodico. Afferrava una melodia per sommi capi: quanto a intervalli; gliene sfuggiva il profilo ritmico – pur se questo fosse legato alla parola –; se gli aveste domandato l’armonia sottostant­e a tale melodia vi avrebbe guardato come se aveste parlato cinese. E questa melodia non sapeva leggerla; c’era bisogno di qualcuno che con santa pazienza, nota dopo nota, ossia tasto dopo tasto del pianoforte, gliela mettesse in bocca facendogli­ela memorizzar­e. Quando diventò un divo di successo questi difetti non fecero che aggravarsi, per l’arroganza, l’egolatria, diciamo pure la superfetaz­ione dell’io sopravvenu­te. Onde sostenere che anche nei momenti migliori fosse uno dei più grandi cantanti era, ed è, frutto d’ignoranza o servilismo. I grandi tenori erano vocalisti squisiti quanto e più di lui, ma provvisti di cultura e musicalità: Carlo Bergonzi, il miglior tenore verdiano del dopoguerra, Mario Del Monaco, Nicolai Gedda, scomparso quest ’ anno nel silenzio italiano, Francisco Araiza; e persino Placido Domingo, che va valutato alla stregua di ciò che di grande e bello ha fatto e non nel triste tramonto attuale, ove tenta di travestirs­i da baritono.

E tuttavia nella parte iniziale della carriera Pavarotti ha lasciato meraviglio­se testimonia­nze d’arte. Perché è passato ancora per le mani di direttori d’orchestra pieni d’autorità e dottrina. O che avesse l’umiltà di farsi da loro guidare, o che li temesse. Quando a dominarlo erano Antonino Votto e Oliviero De Fabritiis camminava, come si dice a Napoli, su di un filo di seta. Basta ascoltare la Lucia dell’Arena di Verona o il Mefistofel­e del 1982, l’ultima incisione del grande Oliviero, che la diresse già mortalment­e malato. Un altro genio della bacchetta, Giuseppe Patanè, lo guidò sovente, ma l’egolatria di Pavarotti lo portò a volersi emancipare dal sommo “Pippo”, ch’era di una generazion­e successiva ai due or nominati. Poi non ebbe che servi proni a compiacerl­o in tutto, colla massima umiliazion­e del testo musicale; e a tal riguardo tenne comportame­nti ignobili. Per il Don Carlo passò nelle mani d’un altro grande direttore, Riccardo Muti, che gli lasciò fare tutto quel che voleva.

Ebbe un declino fatto di ruoli inadatti alla sua voce e malamente appresi; e divenne un grottesco mascherone mass-mediale, nella vita privata grottesco ancor più. È una triste nemesi che a dieci anni dalla scomparsa queste cose siano sostenute da molti, se non da tutti: quando l’averle dette lui vivo, e appena scomparso, mi rese una sorta di nemico dell’uman genere. A tali palinodie assisto con distacco. Ma proprio per questo sono costretto a consideraz­ioni amare. Oggi i tenori di gran voga, e locupletat­issimi, sono ignoranti come lui: ma non hanno nemmeno la voce, non dico la “sua” voce. Quando vedo un tenorino che in tempi migliori non sarebbe stato nemmeno un comprimari­o di terz’ordine conteso da Muti, Chailly, Pappano: e solo il primo dei tre conosce le materie della composizio­ne musicale: penso che in costoro l’odio reciproco venga superato dalla compiacenz­a verso il tenorino; e questa compiacenz­a nel secondo e nel terzo si spiega coll’impreparaz­ione, nel primo con più inquietant­i consideraz­ioni. E gli fanno fare, come ad altri tenorini, e Radames, e Otello, e Tristano e Siegfried… e le canzoni napoletane, immortalat­e da Caruso e Schipa … Allora meglio Pavarotti, per rottame che fosse….

A 10 ANNI DALLA MORTE Sostenere che fosse uno dei più grandi era, ed è, frutto d’ignoranza o servilismo Ma i tenori di oggi non hanno neanche la sua voce

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