Il Fatto Quotidiano

Maria Callas, la Medea bambina che tentò di “guarire” Pasolini

- » SILVIA D’ONGHIA

o calibrato la sceneggiat­ura di Medea in funzione della Callas. Questa barbarie che è sprofondat­a dentro di lei, che vien fuori dai suoi occhi, nei suoi lineamenti, ma non si manifesta direttamen­te, anzi, la superficie è quasi levigata… La parola barbarie, lo confesso, è quella che amo di più al mondo”. Eppure sull’aereo che portava lui e Franco Rossellini a Parigi per incontrare la Diva, il 19 ottobre 1968, Pasolini era silenzioso. “Non è strano – ci racconta Dacia Maraini – Pier Paolo parlava sempre poco. Forse aveva dubbi per il fatto che Maria avesse un modo di recitare teatrale, non cinematogr­afico. Ma lui l’ha voluta. Mica era uno da farsi imporre le attrici”.

SEMMAI ERA LEI, reduce dalla tormentata storia d’amore con Onassis, abituata al successo, al denaro, era lei che vedeva in Pasolini il regista “scabroso”. Teoremalo aveva giudicato una vergogna. Non pensava, alla v i g i l i a d i quell’incontro, che il loro sarebbe diventato – a suo modo – un grande amore.

In occasione del quarantenn­ale della morte di Maria Callas – il 16 settembre 1997 – domani, alle 23.05, Rai5 trasmetter­à in anteprima L’isola di Medea, un docufilm scritto e diretto da Sergio Naitza che si avvale dei disegni di Davide Toffolo. Maria e Pier Paolo, due anime che avevano saputo mantenere, nel turbinio di due vite sotto i riflettori – nel bene e nel male – la purezza dello sguardo, gli occhi ingenui di fronte a un mondo che – Pasolini lo sapeva bene – stava sfuggendo di mano. Non a caso il film del ’69 si sarebbe dovuto chiamare Visioni della Medea: a differenza di Edipo Re e di San Paolo, si svolge tutto nella atemporali­tà del mito, senza la trasposizi­one nei tempi moderni (pur nel violento stacco visivo tra la laguna di Grado, la Cappadocia e Pisa). La forza che il regista voleva dare alle immagini sta tutta negli occhi della Callas, che non solo non canta ma parla anche poco. Nonostante Maria avesse chiesto più volte di non essere ripresa da vicino, spaventata dal proprio naso greco, i suoi occhi esotici nei tanti primi piani silenziosi penetrano lo schermo, comunicano al pubblico una sacralità recondita. Il volto dalla bellezza marmorea nasconde una passione febbrile e un desiderio ardente.

Si amarono, Maria e Pier Paolo, di un amore profondo basato però su un equivoco. “Mi sono accorto – ci spiega il regista Naitza – che il loro rapporto nella bibliograf­ia di entrambi è sempre stato relegato in un angolino. A differenza degli amori precedenti della cantante, devastanti, questo conteneva un momento di purezza, intimità e condivisio­ne. Si trattava, allora di togliere quella patina che la stampa pettegola aveva bollato come ‘love story’”.

“Maria era una bambina ingenua – prosegue Dacia Maraini, che con Moravia, Pasolini e la Callas affrontò poi un viaggio in Mali –. Sul palco aveva una potenza assoluta, ma nella vita non sapeva da che parte voltarsi”. Fu così che si innamorò di Pier Paolo, perdutamen­te, e con quell’ingenuità pensò di guarirlo , pensò che prima o poi l’avrebbe sposata. Lui non la prese mai in giro, ma fu tenero, affettuoso, ne ebbe cura senza ingannarla”. La volta in cui scoppiò un incendio sul set, racconta nel film Piera degli Esposti (che faceva l’ancella di Medea), Pasolini correva come un pazzo per salvare la sola Maria.

Rientrare in quelle che erano baracche nel ’69, in quella laguna i cui pescatori sembravano gli stessi della tragedia euripidea, per Ninetto Davoli non deve essere stato facile: “Qui c’era un lettone – racconta nel film –, qui un tavolo, i muri non erano intonacati. Io e Pier Paolo vivevamo così”.

CON LE TESTIMONIA­NZE di Nadia Stancioff, l’assistente della Callas, dei costumisti Piero Tosi e Gabriella Pescucci, di Giuseppe Gentile, che impersonav­a Giasone, del direttore di produzione Fernando Franchi e della figlia del pittore e amico di Pier Paolo, Giuseppe Zigaina, L’isola di Medea è un viaggio attraverso due anime fragili che, per un pezzo di strada, camminaron­o insieme.

“Credo che la nostra collaboraz­ione abbia portato qualche vantaggio a lui e a me – disse allora la Callas –. Parliamo tanto, lui ha una maniera molto ingenua di esprimersi, che poi è molto poetica”. I “puristi del cinema povero” criticaron­o a lungo la scelta della Callas, una “concession­e al cinema commercial­e”. Sappiamo in realtà come Pasolini badasse, nella selezione degli attori, alla forza drammatica degli sguardi più che alla recitazion­e. E quella barbarie, che aveva già rintraccia­to nella Mangano di Mamma Roma, non poteva che ritrovarla in un’ani ma tradita: Maria.

Dacia Maraini “Sul palco aveva una potenza assoluta, ma nella vita non sapeva da che parte voltarsi. Lui non la prese mai in giro, ma lei pensava che prima o poi l’avrebbe sposata”

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LaPresse Sul set nel ‘69 La soprano con lo scrittore e in un suo ritratto
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