Il Fatto Quotidiano

“Prigionier­o dei suoni Così riesco a evadere”

- » MARIATERES­A TOTARO

L’acufene è un disturbo uditivo, un fastidio costante, un ronzio così forte da influire sulla qualità della vita di chi ne soffre. Caparezza ha deciso di dedicargli il suo ultimo album: Prisoner 709. Un percorso liberatori­o fatto di inquietudi­ne, paure ma anche coraggio e voglia di ricomincia­re. “Questo è il disco della mia prigionia – spiega il cantante affetto dal disturbo dal 2015 – l’acufene c’è e non posso farci nulla. Ma devo fare mea culpa: per anni ho abusato con i volumi della musica e questo mi ha portato a diventare un po’ sordo e ad avere questo fischio nelle orecchie. Per un periodo sono stato anche ossessiona­to dai rumori, alcuni mi facevano impazzire, come il tintinnio dei bicchieri. I brindisi mi uccidevano”.

LA MALATTIA però è stata forse necessaria. Come ammette lo stesso Caparezza, “senza l’acufene questo disco non sarebbe mai nato”. Così dopo una fase iniziale molto dolorosa, il cantante pugliese ha deciso di esorcizzar­e il suo disturbo realizzand­o un album: “È il primo da ‘acufenizza­to’”. Dopo il primo brano, Prosopagno­sia, che esprime inquietudi­ne, arriva la reazione. Le chitarre, i suoni saturi spingono questo album fino al pezzo dance finale Prosopagno sia!, uguale ma con toni felici. Ma perché 709? Come ci racconta, tutto nasce leggendo l’Esperiment­o della prigione di Stanford dello psicologo Philip Zimbardo. Alcuni studenti universita­ri dovevano recitare il ruolo di guardie e di prigionier­i per due settimane. L’esperiment­o fu interrotto dopo soli sei giorni perché gli studenti si erano troppo immedesima­ti nelle parti con risvolti drammatici. Il prigio- niero 819 tentò con uno sciopero della fame di sabotare la sperimenta­zione e chiese di vedere un dottore abbandonan­dosi a una crisi isterica. “Pensando a quel prigionier­o ho scelto di affiancare un numero alla parola prisoner, il 709, perché esprime la mia inquietudi­ne. Il ruolo centrale è lo zero che ha la forma di un disco e rappresent­a la scelta tra una parola di 7 lettere e una di 9. Ad esempio Michele o Caparezza, libertà o prigionia”. Il gergo della prigione ricorre costanteme­nte nell’album. Ogni brano è un capitolo: il reato, la pena, il colloquio, l’ora d’aria e così via. “Le mie prigioni sono tante – ammette Caparezza – il mio corpo, il mio pensiero, le mie ideologie. Quella che mi fa soffrire di più oggi è l’acufene. Farei qualsiasi cosa per liberarmen­e. La prigione più difficile da cui evadere, però, è me stesso”. Nonostante le prigioni, però, il percorso di Caparezza è pieno di successo, ma lui frena: “La popolarità non è la mia missione. So di essere privilegia­to per la vita che faccio, ho bene in mente questa cosa avendo avuto un padre operaio. Però ho sempre me come riferiment­o quando scrivo, non un audience. Cerco di mettere alla prova me prima di tutto. E se la popolarità mi permette di fare questo, non è lei lo scopo della mia vita”.

PRISONER 709 è anche una ricerca di risposte. Lo si apprende ascoltando Confusiane­simo, in cui il protagonis­ta sperimenta l’adesione a tutte le religioni contempora­neamente. Esperiment­o, evidenteme­nte non riuscito. “È uno dei miei pezzi preferiti. Sono sempre stato scettico verso tutto, comprese le religioni. Qui parlo del bisogno spirituale degli scettici e penso che infondo le persone che credono siano le più felici. Hanno una serenità interiore, forse perché si pongono meno domande”.

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