Woodcock: “Io non potevo più fare i controlli”
Woodcock Il magistrato ha già risposto a luglio dopo le dichiarazioni del maggiore Scafarto che lo chiamò in causa sulle “attenzioni” dei Servizi
Suggerire alla polizia giudiziaria di riportare in un apposito capitolo delle loro informative fatti e vicende specifiche connesse all’indagine madre è una normale prassi investigativa. Ed era impossibile controllare, riscontrare, verificare, migliaia di pagine di intercettazioni e accertamenti dei miei investigatori”.
Così in sostanza il pm di Napoli Henry John Woodcock si è difeso di fronte ai pm di Roma dall’accusa di aver falsificato in concorso con il capitano dei carabinieri del Noe Giampaolo Scafarto pezzi di un rapporto de ll ’ inchiesta Consip. Viene contestata in particolare la parte dell’informativa del 9 gennaio 2017 sul coinvolgimento dei Servizi segreti.
QUANDO il 7 luglio Woodcock si siede davanti al procuratore capo Giuseppe Pignatone e ai pm Paolo Ielo e Mario Palazzi, ha in mano un invito a comparire come indagato di un solo reato, rivelazione di segreto. È sospettato di aver passato al nostro vicedirettore Marco Lillo, attraverso la conduttrice di Chi l'ha visto? Federica Sciarelli, notizie sul contenuto dei verbali dell’ex Ad e del presidente di Consip Marroni e Ferrara, e notizie sull’iscrizione nel registro degli indagati del comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette e del ministro Luca Lotti. Sono gli scoop del Fatto del 22 e 23 dicembre. Davanti ai colleghi romani però Woodcock viene messo al corrente di un'altra indagine a suo carico, per falso. Chi lo ha tirato in ballo è il maggiore del Noe. A una domanda dei pm sulla genesi e sul bisogno di inserire la parte sui Servizi segreti nell’informativa, infatti, Scafarto risponde: “La necessità di compilare un capitolo specifico, inerente al coinvolgimento di personaggi legati ai Servizi segreti, fu a me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock che mi disse te- stualmente: al posto vostro farei un capitolo autonomo su queste vicende, che io condivisi”.
Nel contesto delle indagini, quella affermazione diventa una sorta di “chiamata in correità”. L’iscrizione del pm napoletano diventa un atto dovuto. Indagare Woodcock, in concorso con Scafarto, ottiene l’effetto di radicare l’inchiesta sull’ufficiale del Noe a Roma, competente per i reati dei magistrati di Napoli. Sulla competenza il legale di Scafarto, Giovanni Annunziata, ha proposto ricorso, rigettato, per trasferirla a Napoli.
MA TORNIAMO al pm. Difeso dall’avvocato Bruno Larosa, Woodcock non solleva obiezioni sul perché la nuova accusa non sia riportata sull’avviso di garanzia, vuole rispondere e chiarire la propria posizione. Ripete cose già illustrate in colloqui privati, uno dei quali finì sulle pagine di Repubblica come ‘intervista conto terzi’ (riflessioni che il pm avrebbe fatto ai colleghi di Napoli) costata l’incolpazione al Csm. Dice di non aver usato quella informativa, di aver trasmesso a Roma le parti contestate a Scafarto, che è impossibile per un pm controllare e riscontrare ogni intercettazione e ogni accertamento degli investigatori. E puntualizza che isolare il capitolo dei Servizi è frutto di una prassi del suo ufficio che risponde a logiche inquirenti: si mettono da parte ipotesi e filoni sui quali il pm può decidere di fare ulteriori accertamenti, disporre stralci, ordinare omissis.
È già accaduto in passato. Anche recente. Indagando sulle tangenti di Cpl Concordia, Woodcock e il Noe si imbatterono in un contatto sospetto tra il manager della coop rossa Francesco Simone e il generale della Finanza Michele Adinolfi. Il pm ordinò indagini su Adinolfi, che finirono in un capitolo di informativa. Roma ricevette quel filone e archiviò il generale. Woodcock omissò il capitolo ‘Adinolfi’ dalle carte depositate ne l l ’ i n d a g i n e “Ischia-Cpl”. La telefonata tra Renzi e il generale era contenuta lì e poi uscì sul Fatto. Era prima finita per errore tra le carte depositate in un’altra indagine di altri pm sui presunti rapporti tra Cpl e la camorra. Ma questa è un’altra storia.
L’altra accusa L’iscrizione per falso era un atto dovuto Ma lui si è difeso: “Mai utilizzati quei dati”