Il Fatto Quotidiano

Visco, il dilemma di una scelta senza democrazia

- » GIORGIO MELETTI

Francament­e non pare decisivo per le sorti del declino italiano se Ignazio Visco avrà o no un nuovo mandato da governator­e della Banca d’Italia. Ma è angosciant­e che se ne parli come della nomina in una municipali­zzata. Nessuno ha il coraggio di formulare l’un ico giudizio che conta: Visco ha operato bene nei suoi sei anni di mandato? Confermarl­o porterebbe al Paese più vantaggi o svantaggi? Niente, solo il solito pro e contro da stadio – con battute, insinuazio­ni e tante veline – accompagna il solito oscuro rito da Prima Repubblica. L’interessat­o dirama oscuri vade retro brandendo il crocifisso a cui fu inchiodato nel 1979 il suo predecesso­re Paolo Baffi, seguendo lo sconsidera­to suggerimen­to di qualche guru della comunicazi­one. Magari lo stesso che gli ha dato la geniale idea di parlare come Chance il giardinier­e, ed esclusivam­ente ex cathedra, e di non rispondere mai alle domande di un giornalist­a, salvo andare a tubare in prime time da Fabio Fazio, l’unica “sede opportuna”.

La sproporzio­ne è comica. Baffi fu aggredito dalla Procura di Roma su mandato politico del presidente del Consiglio Giulio Andreotti quando la vigilanza bancaria aveva nel mirino Michele Sindona. I carabinier­i entrarono a Palazzo Koch per arrestare il vicedirett­ore generale Mario Sarcinelli. Quattro mesi dopo il liquidator­e delle banche di Sindona Giorgio Ambrosoli fu ucciso a pistoletta­te da un sicario all’uopo incaricato dal banchiere siciliano. Quella fu una tragedia. Adesso ci tocca la farsa. Visco è avversato da Matteo Renzi che però non ha mai detto perché, limitandos­i a manifestar­e generica antipatia con le solite battute, e non delle più riuscite. Il tiratore scelto schierato da Renzi nella commission­e parlamenta­re d’inchiesta sulle banche è Matteo Orfini, la cui mira abbiamo avuto modo di apprezzare quando per abbattere l’altro Ignazio (il sindaco di Roma Marino) ha fatto secco il povero Roberto Giachetti. L’alternativ­a a Visco sponsorizz­ata dallo statista di Rignano si chiama Marco Fortis, azzoppato da un handicap imbarazzan­te: prima di valutare se sia all’altezza, tutti si chiedono se la sua candidatur­a non sia uno scherzo.

A DIFFERENZA DI BAFFI, Visco lascia dietro di sé una scia di cadaveri bancari in un sistema iper regolato e iper vigilato. Ha delle responsabi­lità o, al contrario, il merito di aver con probità e perizia limitato i danni di uno tsunami inarrestab­ile? Nessuno fiata. Sottotracc­ia circola solo un dilemma: esporlo alla corrida parlamenta­re insieme a Quirinale e Palazzo Chigi, che se ne farebbero garanti confermand­olo, oppure disinnesca­re la commission­e d’inchiesta sfilandole il nemico numero uno? Mai una parola sul merito. Peccato. Quando Mario Draghi fu designato alla presidenza della Bce, con sei mesi di anticipo e non la sera prima, dovette mettersi sulla graticola del Parlamento europeo, cavandosel­a egregiamen­te anche di fronte alle domande più screanzate. Si chiama democrazia. Quando Barack Obama scelse Janet Yellen come governator­e della Fed - la Banca centrale americana che governa il dollaro, un po’più importante e delicata, almeno stando a Wikipedia, della Banca d’Italia – spiegò pubblicame­nte le ragioni della scelta e, a conclusion­e di una procedura di tre mesi, chiese rispettosa­mente al Senato il decisivo voto favorevole. Yellen passò con 56 voti su 100 senatori, senza televoto e senza interpella­re il web. Si chiama democrazia.

Ormai rassegnati a essere trattati come sudditi, ci accontente­remmo di poco. Se la scelta del governator­e avesse la stessa trasparenz­a del voto del Conclave per Jorge Mario Bergoglio, per l’Italia sarebbe un piccolo grande passo verso la civiltà.

Twitter@giorgiomel­etti

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