Kamala Harris, i Democratici hanno già l’anti-Trump
Èprobabile che i Democratici americani – o buona parte di loro – stiano per individuare il personaggio sul quale concentrare i propri sogni, per scacciare gli incubi coi quali ogni mattina si svegliano, da quando Donald Trump ha messo a segno l’inopinata vittoria nella corsa alla Casa Bianca.
Mentre Trump ancora deve mangiare il suo primo panettone nello Studio Ovale, sta infatti emergendo una figura con le carte in regola per diventare la sfidante che nella corsa del 2020 potrebbe defenestrare il presidente e la sua stravagante amministrazione.
SI CHIAMAKamala Harris e il suo identikit pare costruito ad arte dai migliori strateghi del nuovo che avanza: 52 anni, figlia di una importante ricercatrice medica sulle terapie tumorali emigrata dall’India e di un professore di Economia a Stanford di passaporto giamaicano. Papà e mamma s’incontrarono all’Università di Berkeley, culla delle grandi cause civili, e la casa di famiglia era nel quartiere nero di San Francisco.
Kamala cresce cantando in un coro battista e laureandosi in Scienze politiche alla Howard, l’alma mater dell’i ntellighenzia afroamericana – la stessa santificata da Ta-Nehisi Coates nel best seller Tra me e il mondo. Kamala opta per la carriera legale, diviene prima procuratore distrettuale a San Francisco e quindi procuratore generale dello Stato e si guadagna una notevole reputazione locale per le posizioni progressiste e sintonizzate sul bene comune: lancia un programma di recupero per i giovani spacciatori che ottiene un bassissimo tasso di recidività, propone riforme radicali nel campo della sicurezza a partire proprio dal reinserimento dei giovani crimi- nali, dà vita a un dipartimento speciale nel distretto di San Francisco che si occupa di hate crimes, violenze contro i minori, i gay e tutte le minoranze.
Nel 2014 Harris si esprime in favore del matrimonio gay e riceve segnali di attenzione da parte di Obama come possibile futuro giudice della Corte Suprema. Nel 2016, conduce una trionfale corsa per un seggio senatoriale a Washington in rappresentanza della California. Vince con il 62 percento delle preferenze, sbaragliando gli avversari col sostegno di Obama e Joe Biden.
IL 21 GENNAIO di quest’anno arriva per lei il primo vero defining moment, il momento magico a livello nazionale, che la piazza sulla mappa politica di coloro che contano in America, grazie al suo rovente discorso davanti a mezzo milione di persone in occasio- ne della Marcia delle Donne a Washington, coincisa con il giuramento di Trump. In un baleno Kamala Harris diviene il nome sulla bocca degli influencer liberal e il suo primo intervento al Senato, con 12 minuti di critiche ai propositi presidenziali di Trump, rafforza la sua posizione, sospinta anche dalle sue dichiarazioni in favore dei diritti degli immigrati e da un fortunato podcast realizzato con David Axelrod, lo stratega che letteralmente costruito l’ascesa presidenziale di Obama.
La Harris ha tantissimo per piacere: è bella, colta, autorevole, passionale. La sua intelligenza è smagliante e la capacità dialettica vigorosa.
E poi ha quel cocktail di razze nel sangue che ne fa una icona vivente del contemporaneo: è nera, ma anche asiatica e intensamente americana.
LE SUE POSIZIONI sono di un progressismo che dovrà smussare, se vuole sperare di convogliare verso una sua candidatura le simpatie della maggioranza: è in favore dell’aborto, contro la pena di morte, ecologista convinta, in favore del controllo sulle armi e dei diritti dei dreamers, gli americani di prima generazione, figli di immigrati clandestini. Un programma che sembrerebbe quello di una predestinata alla sconfitta per eccesso radical, ben più di un Bernie Sanders o di una Elizabeth Warren - le altre personalità su cui si concentrano le simpatie dei progressisti americani.
Ma Kamala, che ormai non nasconde il proposito di provarci e sta iniziando le manovre indispensabili per riuscirci – a cominciare dalla raccolta di potenziali finanziatori di una campagna – ha frecce acuminate per il suo arco: perché è una faccia nuova, rispettabile, intensa. Perché piacerà enormemente ai giovani e a coloro che andranno a votare per la prima volta. E sarà la beniamina delle minoranze, che la sosterranno compattamente. Soprattutto perché permetterà al partito democratico di chiudere il suo rapporto con la generazione dei baby boomers (quella dei Biden, che ancora pensa a una corsa elettorale), erigendosi a simbolo della nuova generazione per prende in mano il futuro del paese. Ed è una donna, di straordinaria forza morale. Quella giusta per vendicare lo smacco dolorosissimo della sconfitta di Hillary.
Avvocato e procuratore Figlia di una indiana e un giamaicano, il suo unico limite sono le posizioni troppo radicali