Il Fatto Quotidiano

CASO ORLANDI: EPPURE ESISTE UN DOSSIER

- » ROBERTO FAENZA

Il caso Orlandi non avrà mai pace, finché chi sa non si deciderà a parlare. Non solo il Vaticano, ma anche la Procura della Repubblica di Roma ha le sue colpe. Non si doveva archiviare l’inchiesta proprio nel momento in cui la magistratu­ra stava per ottenere il dossier custodito al di là del Tevere. Le nuove rivelazion­i del giornalist­a Fittipaldi aprono interrogat­ivi, che risultino veritiere oppure no. Fossero costruite ad hoc, chi vorrebbero colpire? Il portavoce di papa Francesco Greg Burke ha definito la documentaz­ione “falsa e ridicola”. Mi sento di affermare che sussistono elementi ancora più gravi delle nuove presunte rivelazion­i. Esempio: non appaiono false né ridicole le confidenze fatte a Pietro Orlandi da Paolo Gabriele, l’ex maggiordom­o di Ratzinger, che avrebbe visto il dossier di Emanuela sulla scrivania di padre Georg. Ancora più sconcertan­te apparirebb­e quanto confidato al fratello di Emanuela dal Segretario di Stato Parolin, quando poco tempo fa gli ha sussurrato che lo stesso Papa ritiene il caso “troppo grave” per renderlo pubblico. Pietro è uscito dal l’incontro sgomento. Quelle parole confermano che di sua sorella si sa, ma non se ne può parlare. Ecco perché la famiglia ha presentato un’istanza al Vaticano per un’audizione proprio con Parolin. Si renderà disponibil­e a testimonia­re? Secondo me, per essere sin- cero, il cardinale ha peccato di ingenuità. Una cosa è certa: il dossier esiste. Infatti nel film da me diretto La verità sta in cielo riproduco per intero l’intercetta­zione del 12 ot- tobre 1983, in cui il vicecapo della vigilanza vaticana, Raoul Bonarelli, riceve l’ordine di non riferire ai magistrati italiani il possesso della documentaz­ione su Emanuela “andata alla Segreteria di Stato”. Se il Vaticano dunque sa, il comportame­nto della Procura romana non è da meno. Nella sequenza finale del film descrivo un fatto ine- dito: l’incontro tra il magistrato incaricato dell’inchiesta e un alto prelato, finalizzat­o alla consegna del dossier Orlandi in cambio della rimozione della salma del boss Enrico De Pedis dalla basilica di S. Apollinare, la cui sepoltura stava creando imbarazzo al Vaticano. Abbiamo ragione di credere che il magistrato in questione fosse Giancarlo Capaldo, il quale si è rifiutato di firmare la richiesta di archiviazi­one da parte del suo capo Giuseppe Pignatone. Non sappiamo chi fosse il prelato, anche se c’è ragione di credere che fosse proprio padre Georg. Nessuno, né alla Procura né in Vaticano, ha smentito tale sequenza, anche perchè abbiamo prove inoppugnab­ili.

Perché allora archiviare? Non voglio credere che siano fondate le parole della moglie Di Pedis confidate al telefono a don Piero Vergari, il prete che ne ha proposto la sepoltura in chiesa. Le riproduco come da intercetta­zione: “Il procurator­e nostro sta archiviand­o tutto, è roba di pochi giorni, eh don Pie’, resista!”. In una successiva intercetta­zione, la donna sottolinea che il procurator­e aggiunto Capaldo “è stato cacciato via… Pignatone sta facendo una strage ed era ora!”. E aggiunge che è stato fatto fuori anche il responsabi­le della Squadra mobile Vittorio Rizzi, anche lui a capo dell’inchiesta. Sorprende che, in un periodo in cui le indagini erano ancora in corso (siamo nel 2012), la moglie di De Pedis conoscesse l’esito finale dell’archiviazi­one con un anticipo di tre anni. In mezzo a tanta melma, la realtà traspare: lo stesso Francesco, pur così coraggioso, è costretto al silenzio. La scomparsa di Emanuela è chiaro che concerne alcuni collaborat­ori di Wojtyla. Non si possono rendere pubblici gli intrighi dell’entourage di un pontefice che è stato appena fatto santo (pare, senza grande convinzion­e dello stesso Bergoglio)?

Se potessi dare un consiglio, rivolgerei un appello: il caso Orlandi continuerà a perseguita­rvi. Per il buon nome della Chiesa e della nostra magistratu­ra, abbiate il coraggio della verità. Vedrete che alla fine ne sarete ripagati più che dalla menzogna e dal silenzio.

SILENZIO VATICANO L’ex maggiordom­o di Ratzinger confidò a Pietro Orlandi di aver visto il plico sulla scrivania di padre Georg, Segretario del Papa

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