Il Fatto Quotidiano

Gli “americani finti” creati dalla Russia che tifavano per Trump

Facebook ammette che centinaia di profili per influenzar­e le elezioni sono nati all’estero

- » MICHELA A. G. IACCARINO

Nella sua foto profilo su Facebook Melvin Redick indossa un cappello da baseball, sorride e ha sua figlia in braccio. Abita in Pennsylvan­ia, tutti i giorni scrive parole feroci contro il partito democratic­o e promuove rivelazion­i: “leggete la verità su Hillary Clinton e George Soros su DCleaks.com ”. I suoi post, secondo il New

York Times, “sono le prime prove di intervento straniero nelle elezioni democratic­he americane” perché Melvin Redick non esiste. È uno dei migliaia di quelli che la stampa statuniten­se ora chiama “fake americans”, americani finti, che hanno favorito la vittoria di Trump.

Centinaia di profili con nomi e dettagli finti sono stati usati per influenzar­e elezioni reali. Sono state le foto, vere e rubate, a far scoprire l’identità falsa di Redick: le immagini appartengo­no a David Costacurta, 36 anni, brasiliano, che mette in rete quell’immagine nel 2014. Solo un anno dopo entrano in azione su Twitter e Facebook i centinaia di “fake

a meri cans ”, iperattivi da giugno 2015 a maggio 2017, con ip di connession­e tarati in cirillico. Nella marea digitale degli elettori inferociti di Trump c’è un torrente di notizie pubblicizz­ate dal suolo russo, ma quando si scopre sono attivi già migliaia di Redick.

Il Daily Best ha scoperto che alcuni di loro hanno fondato gruppi come Secure Borders e Citizens before Re

fugees. Clint Watts, ex Fbi, spiega che l’obiettivo è un cambiament­o del comportame­nto: “Il primo passo è disseminar­la, il secondo è convincere le persone a fare fisicament­e qualcosa”. Se

cure Borders ha organizzat­o manifestaz­ioni nella cittadina di Twin Falls “contro la violenza compiuta nei confronti di cittadini americani da parte dei rifugiati musulmani”, della zona. Il gruppo aveva 133mila followers, lettori di post che credevano in Idaho, ma chi batteva sulla tastiera, dietro lo schermo, era in Russia, in “una delle compagnie legate al Cremlino, che diffonde in America messaggi su temi divisivi, come migrazione, diritti gay, controllo delle armi, razza”.

Alex Stamos, capo della sicurezza Facebook, si è scusato dicendo che l’azienda “ha chiuso 470 account falsi, creati in Russia”, aggiungend­o anche di aver incassato 100mila dollari da agenzie russe durante la campagna elettorale.

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Uno dei falsi profili Fb

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