“Processate Sala: carte false su appalti Expo”
Per la Procura generale è stato falso ideologico
■Cade l’accusa più grave di turbativa d’asta, ma il sindaco del Pd rischia comunque il giudizio per il maxi-appalto della piastra (i pm avevano provato ad archiviare). La difesa: “Ha solo usato i suoi poteri di commissario”
La Procura generale di Milano chiede di mandare Giuseppe Sala sotto processo. Ma solo per il meno grave dei due reati che nel maggio scorso aveva contestato al commissario Expo, poi diventato sindaco di Milano, nell’avviso di chiusura indagini sulla “piastra”: per il falso ideologico e materiale. L’altro, più pesante reato ipotizzato tre mesi fa, la turbativa d’asta, è stato stralciato (non solo per Sala, ma anche per altri due manager, Antonio Rognoni e Pierpaolo Perez): nell’attesa di compiere nuove indagini e approfondire i temi giuridici proposti dalle controdeduzioni difensive degli avvocati di Sala, il penalista Salvatore Scuto e l’amministrativista Stefano Nespor, i quali hanno sostenuto che i poteri speciali assegnati al commissario Expo rendessero legittimo il suo comportamento.
NE LL’IN CH IESTA sulla “p iastra” – l’infrastruttura di base su cui è stata impiantata l’intera esposizione, il più ricco degli appalti Expo (valore 272 milioni), vinto dall’impresa Mantovani – il falso riguarda la retrodatazione della nomina di due membri delle commissioni di gara. Fu firmata da Sala, secondo la Procura generale , con “l’intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta”, con il rischio di non riuscire ad aprire in tempo i cancelli dell’esposizione, visto il ritardo già accumulato. Secondo l’ipotesi d’accusa, il commissario Expo sapeva di firmare un atto falso: lo dimo- strerebbero le intercettazioni che captano i maneggi dei manager coinvolti nella gara, i quali raccontano che già il 21 maggio 2012 era stato sollevato il problema dell’incompatibilità di due commissari. Sala decide di firmare, il 31 maggio, un atto falso, con data 17 mag- gio, per far entrare in gioco ex postdue commissari supplenti che sostituiscono i due incompatibili. Stralciata invece l’accusa di turbativa d’asta. A Sala era stato contestato di aver scorporato una parte dell’appalto della “piastra”, quella per la fornitura di 6 mila alberi. “Allo stralcio di tale fornitura” – aveva eccepito la Procura generale – “non è corrisposta la modifica del prezzo finale posto a base d’asta”, con il prezzo degli alberi “spalmato” su altri lavori. In conclusione, le piante, comprate in un vivaio a 1,6 milioni di euro (266 euro l’una), sono state pagate da Sala 4,3 milioni (716 euro l’una).
Niente richiesta di rinvio a giudizio anche per l’imprenditore Paolo Pizzarotti, che nell’avviso di fine indagini era accusato di turbativa d’asta per un accordo che avrebbe stretto con la Mantovani.
L’ULTIMA CODA giudiziaria della vicenda Expo era nata nel 2016, quando la Procura di Milano aveva chiesto di archiviare tutti gli indagati per la “piastra”: dopo due anni di lavoro, erano rimasti con il carniere quasi vuoto i tre pm (Roberto Pellicano, Paolo Filippini e Giovanni Polizzi) che avevano tentato di fare l’inchiesta, rallentata e danneggiata dapprima dalla competizione tra la squadra di Alfredo Robledo e quella di Ilda Boccassini, magistrati al lavoro sugli stessi personaggi; e poi dagli interventi del procuratore Edmondo Bruti Liberati, che aveva escluso Robledo dalle indagini. A sorpresa, però, il gip Andrea Ghinetti nell’ottobre 2016 non aveva accolto la richiesta d’archiviazione della Procura ed era scesa in campo la Procura generale, guidata da Roberto Alfonso, che il 10 novembre aveva avocato il caso, mandando il sostituto procuratore generale Felice Isnardi a sostituire i tre pm. Dopo sette mesi d’indagine, Isnardi aveva contestato a Sala falso e turbativa d’asta. Ora il Pd milanese esulta: “Siamo felici sia caduta l’ipotesi di reato più grave. Rimaniamo al fianco di Sala, che ha dimostrato di lavorare nell’interesse di Milano”.
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