Blade Runner, ho visto cose da non ripetere
TRENTACINQUE ANNI DOPONon chiamatelo “sequel”: il “follow up” diretto dal canadese Villeneuve e prodotto da Ridley Scott: “È un altro film. Fantascienza con al centro l’uomo”
Il conto alla rovescia per Blade Runner 2049, il “follow up” (che attenzione, è diverso dal “sequel”) dell’opera cult, è ai minimi termini. Ma le labbra del regista Denis Villeneuve, ieri a Roma per un incontro con la stampa, restano sigillate su ciò che andremo a vedere. “Perché la smania del sapere prima, di raccontare a tutti i costi qualcosa che fra poco il mondo vedrà?”. Attendere. Bisogna tornare a saper aspettare per essere sorpresi, nel bene o nel male. Con tutti gli scongiuri suoi e della Warner Bros rispetto alla seconda opzione.
LA DATA è il 5 ottobre, uscita planetaria mastodontica, fino ad allora solo qualche sequenza, quelle passate nei vari teaser trailer e nei corti spin-off commissionati dalla produzione per – guarda un po’ – alimentare l’attesa. Le atmosfere visionarie del più celebrato futuro distopico della storia del cinema ci sono tutte, anzi, anche qualcosa in più grazie alla tecnologia che 35 anni fa assai meno poteva permettersi. Ma quel che fece Ridley Scott sul romanzo di Philip K. Dick appartiene alla leggenda del cyberpunk neo noir, irreplicabile. Un film nuovo e non solo un nuovo film, dunque, con un cineasta solidissimo alla guida, che lo stesso Scott in veste di produttore esecutivo ha delegato alla propria successione: Villeneuve compirà 50 anni due giorni prima dell’uscita del blockbuster, e sarà spartiacque in ogni senso nella sua vita, umana e professionale. Rispetto al rapporto con la temporalità il regista del Québeq è sereno, “più invecchio e meglio mi sento, ho fatto pace con me stesso, ma ne ho impiegati di anni per arrivare a questa condizione ideale”. Ottime premesse per affrontare il salto nel vuoto, che per noi resta ancora nell’oscurità con tanto di rammarico di Denis: “Per me è frustrante parlarvi di qualcosa che non avete ancora visto...”. Appunto.
Ma dobbiamo fidarci di lui, che “ho vinto la paura del confronto col Mito perché sono partito dalle basse possibilità di competizione con un capolavoro. Pertanto ho accettato l’incarico immaginando una nuova storia seppur profondamente legata a un tessuto narrativo e contestuale già noto e perfetto. Mi sono sentito libero di esprimere il mio amore verso il fare cinema, che poi è ciò che dà senso alla mia vita. Ho corso ogni rischio cercando di ignorare le reazioni del post, altrimenti avrei fallito in partenza”.
Se la continuità passa per il corpo di Harrison Ford, anco- ra nei panni dell’ex blade runner Rick Deckard, la vera grande novità risponde al nome della star Ryan Gosling, scelto da Villeneuve nel ruolo dell’agente K non perché canadese come lui, ma perché “il suo volto è uscito subito dalle pagine del racconto di Hampton Fancher (sì, ancora lui, 35 anni dopo... ndr) divenuto poi sceneggiatura per mano sua e di Michael Green. Ryan è come Clint Eastwood, il suo personaggio inizia ancor prima che lo interpreti. E ce ne vuole di carisma per affrontare Ford, considerando ciò che Harrison, ma Gosling ha vinto la sfida sorreggendo tutto sulle sue spalle”. Villeneuve ha scelto personalmente non solo gli attori (spiccano le presenze di Jared Leto, di Robin Wright e della ex musa di Tornatore ne La migliore offerta, Sylvia Hoeks) ma anche gli extra “volevo facce adatte alla distopia”. “Gli attori mi hanno chiesto di evitare il green-screen, che io peraltro odio, e quindi abbiamo ricostruito tutti i set..”.
UN GESTO FOLLE e d’amore, questo, di un regista che non nega la CGI ma difende la materia, quasi un ritorno – emblematico – all’analogico rispetto al digitale “così forte e fragile insieme”. Non è un caso che nella trama di Blade Runner 2049 ci sia il grande “b la ckout”, tutti i database distrutti, solo lo stampato è garantito. Ironia della sorte del web e dei Social spauracchio degli spoiler, ma tant’è: il kolossal firmato da un canadese non può che essere “anche” ecologista, “il clima è devastato, vedrete stagioni rivoluzionate, soprattutto freddo, neve, cromatismi argentei spaccati improvvisamente dal giallo, il mio colore d’infanzia...”. Insomma, fantascienza a mille ma con l’uomo al centro del racconto. Questo interessa a Villeneuve, pedigree puro e talento assoluto di cui il recente Arrival è solo l’ultima nonché luminosa testimonianza. Non resta che confidare in chi ha “visto cose che noi umani” ancora ignoriamo.
Ryan Gosling ha vinto la sfida di confrontarsi con Harrison Ford sorreggendo tutto sulle spalle