“Ho accumulato cripto-milioni solo premendo un tasto sul Pc”
Se gli si chiede quabnti bitcoin ha, non risponde. “È come chiedere quanti soldi ha sul conto una persona – dice – non è molto educato”. Franco Cimatti, 33 anni, è un perito informatico. Ma è anche il fondatore della Bitcoin Foundation Italia. È un early adopter dei Bitcoin (uno dei primi ad averne), a lungo è stato il “Paperone” di questa cryptovaluta.
SI DICE ne abbia diverse migliaia. Ha iniziato ad accumulare bitcoin quando ancora valevano poco o nulla. Oggi, dorme raramente: gira il mondo e fa consulenze per aziende. “Da sempre sono interessato a software o sistemi peer to peer, co- me erano Napster o Emule, Bit torrent, eDonkey – racconta –. Ci si scambiavano file, informazioni, giochi, libri. Mi piaceva che fossero decentralizzati. Non ti collegavi a un sito ma a una rete di utenti. Nessuno poteva decidere di premere un tasto e spegnere tutto”. Scopre i bitcoin. “All’inizio era un programmino per il pc: premevi un pulsante e generavi queste monetine. I bitcoin non avevano alcun valore. Erano dei numeretti e basta. Al tempo non avevo neanche le conoscenze economiche che ho oggi”. Il computer lavorava per produrli, li vedeva crescere nel suo portafoglio. “A un certo punto pensavo mi avrebbero regalato delle magliette o dei banner – dice Franco – Non ca- pivo come potessero essere considerate delle monete. E più non capivo, più me ne interessavo per cercare di capire”. Si mette allora a studiare: il funzionamento, i valori, l’idea, i concetti di baratto, moneta, mercati. “Una moneta deve essere divisibile, trasportabile, fungibile, non tracciabile”, spiega. Nel 2010 si iscrive a uno dei primi forum sui Bitcoin, sul quale interveniva lo stesso ideatore del protocollo, Satoshi Nakamoto. Diventa moderatore della sezione italiana, inizia a fare informazione sul web, forum, siti e chat. Si fa un nome nella comunità italiana. “Gl i utenti credevano esistesse un’azienda che creava Bitcoin. Bisognava fare chiarezza”. Realizza un sito che spieghi nel dettaglio il protocollo Bitcoin, fonda un’associazione senza scopo di lucro, continua a investire.
“La mia vitaè tutta in questa attività: sia perché sono economicamente investito, sia perché credo davvero in questa tecnologia e in quello che potrà apportare all’umanità”. Dice di essere in una situazione che non consiglierebbe: “In genere si suggerisce di non investire più di quello che si è disposti a perdere e di non investire in ciò che non si conosce. Io credo di avere una buona conoscenza di questo sistema e sono abbastanza al sicuro anche se le cose dovessero andare male. Però ho investito praticamente tutto in bitcoin: sul conto in banca ho al massimo mille euro”. In pratica, cambia i bitcoin solo se ne ha bisogno: cibo, vacanze, bollette e solo se il servizio che cerca non accetta pagamenti in bitcoin.
“HO FIDUCIA cieca nel fatto che in futuro saranno le criptovalute a prendere il sopravvento. Non credo che monete mantenute da banche centrali o da Stati possano sopravvivere. Nessuno rifiuterebbe un sistema facile per proteggere e gestire i propri soldi direttamente”. E se Bitcoin dovesse imp r o v v i s amente scomparire, essere dichiarato illegale? “P otrebbe scomparire se ci fosse un bug (un errore informatico, ndr). In quel caso, lo si ripara. Altrimenti, tutti gli Stati dovrebbero metterlo al bando. Ci sono però centinaia di aziende che investono in bitcoin e banche che investono su quelle aziende. Centinaia di migliaia di persone: sono volti, voti, interessi”. Più si diffonde il bitcoin, più è difficile farlo sparire.
Ma non è tutto semplice. Anche nella comunità di bitcoiner ci sono degli scontri: sul futuro della tecnologia, su come gestirlo. “Si va dai confronti agli attacchi personali e si finisce per essere in contrasto. Spero che in futuro la situazione si distenda e che io possa andare anche in vacanza. Mi sento comunque responsabile. Ormai non dormo da anni”.
Non appena il business delle monete virtuali è diventato globale, è aumentato in maniera esponenziale anche il rischio di finire vittima di qualche truffa. Il giro economico è milionario e non sempre chi investe è consapevole fino in fondo di come sta impiegando i propri risparmi.
Ha fatto scalpore, all’inizio del 2017, la multa da 2,6 milioni di euro con cui l’Antitrust italiana ha sanzionato la società One Life Network Ltd. Questa società vendeva pacchetti di OneCoin, una moneta virtuale spacciata per un equivalente dei Bit
Coin, ma che in realtà non esisteva. Non poteva essere convertita, né scambiata con altre criptomonete se non al l’interno dello stesso sistema. E, soprattutto, era prodotta da una società che generava profitti.
La truffa delineata è una versione moderna dello Schema
Ponzi ( un modello economico di vendita truffaldino che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi ‘investitori’): si chiedeva un investimento iniziale ai sottoscrittori, promettendo che questa somma sarebbe tornata, decuplicata, in poche settimane.
Ad agosto scorso, invece, la polizia di Londra ha sgominato un gruppo di truffatori che, dal loro ufficio nella City, chiamava a casa persone comuni tentando di convincerle a investire i propri risparmi su una criptovaluta inesistente. O ancora: l’Anti-Malware Research team di Kaspersky Lab ha recentemente scoperto due reti di 10mila computer infettati da virus che installavano segretamente sui pc delle vittime programmi per produrre criptovaluta.
La valuta in culla ”L’inizio per gioco: un programma generava queste monetine. Erano solo numeri”
CI SONO poi reati non strettamente legati all’affidabilità della moneta virtuale, ma che approfittano di chi investe e non tutela come dovrebbe i propri dati. Secondo il report di Chainalysis, un’azienda di risk management, almeno il 10 per cento del denaro investito quest’anno negli Ico (Initial Coin Offerings, l’offerta iniziale con cui si finanziavano progetti) della criptovaluta Ethereum è finito nelle mani di truffatori. Si parla di circa 150 milioni di dollari a livello globale, sottratti da fantomatici tramiti che poi sparivano nel nulla.